Clemente Russo: "Il mio argento... di cartone. La grande vittoria? Le mie figlie fuori pericolo"

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Il pugile di Marcianise si racconta: "Quando mi tolsero l'oro ai Giochi di Pechino, mi ripresi solo con la chiamata del Presidente della Repubblica"

Antonio Giordano

Collaboratore

27 luglio - 23:28 - MILANO

La vita, a volte, è tutta un film: e al ciak un — praticamente bambino — Clemente Russo non avrebbe mai sospettato di dover “recitare” una, dieci, cento, trecentottanta (380) volte che sarebbe riuscito a prendere il destino a pugni, orientandolo verso se stesso. "Se c’è una cosa che mi riempie di gioia è stata la capacità di rappresentare Marcianise e l’Italia con il mio coraggio". Il mondo è il centro del ring, però intorno, mentre si sente il rumore sordo d’un gancio, ci sono gli ori a Chicago e Almaty nei Mondiali, gli argenti di Pechino e Londra alle Olimpiadi, le gioie e pure i dolori, d’un dilettante — per scelta — che ha mandato allo sbaraglio un sistema, caricandoselo addosso. "Mi sono divertito, posso dirlo". 

Cominciamo da Balla coi lupi... 

"Nel ‘93 cercavo me stesso in palestra e, se non ci riuscivo, attaccavo a testa bassa. Il maestro Brillantino, al quale va la mia riconoscenza, mi diceva: non fare Tatanka, il bisonte di quel capolavoro". 

Perché si sale su un ring? 

"Si chiama riscatto sociale. La crisi economica noi l’avvertivamo, con le difficoltà di inventarsi un domani. Mamma mi rimproverava: se non studi vai a fare il muratore. Io andai alla Excelsior, scoprii quel mondo, il pugilato, e decisi: ecco cosa farò da grande". 

Ha avuto varie vite da personaggio da copertina... 

"Mi riconosco un merito: mettere serietà e impegno in tutte le iniziative in cui mi sono lanciato. Però ho portato e tenuto sempre con me, nel bagagliaio della macchina, la borsa per gli allenamenti: la boxe è stato il dovere, il resto il piacere". 

Silver medalist Clemente Russo of Italy celebrates during the awards ceremony for the Heavyweight (91kg) boxing category of the 2012 London Olympic Games at the ExCel Arena August 11, 2012 in London.      AFP PHOTO / Jack GUEZ

Russo

due argenti olimpici

Clemente Russo è nato a Caserta il 27 luglio 1982. È stato campione del mondo dilettanti 2007 e 2013 e argento olimpico 2008 e 2012.

C’è bisogno di una stanza per tenere tutte le medaglie. 

"E sono molte di più di quelle che vengono recensite. Le più importanti sono in cassaforte, ovviamente". 

Da Marcianise sul tetto del mondo. 

"È stato faticoso ma entusiasmante. Mi sono portato appresso gli insegnamenti di papà e di mamma, ho gioito e sofferto, ce l’ho fatta ma non è finita. Sono incontentabile e adesso che sono ct delle Fiamme Azzurre spero di diventare il Maestro più bravo che esista, con il sogno di lanciare nuovi talenti. Qui c’è fermento, qualcosa accadrà". 

L’oro più emozionante? 

"Le mie gemelle, per le quali io e mia moglie siamo stati in ansia quando nacquero, al sesto mese e mezzo di gravidanza. Rimasero a lungo in rianimazione ma quando entrarono in casa scoprii cosa significhi la felicità senza limiti". 

Un duro che pianse sul ring. 

"Primo Mondiale, 2007. Ero stato, fino a quel momento, tra quelli che davanti alle lacrime degli altri si chiedeva: ma perché? E invece caddero i freni, non riuscivo a opporre resistenza, anzi non volevo. Assaporai quel momento e l’ho tenuto per me senza mai staccarmene". 

L’ingiustizia è datata 2008. 

"Pechino, finale contro Cakchiev, verdetto tremendamente ingiusto. Sono state tre ore terribili, dopo il match, mi trovavo con quella medaglia per me di cartone - lo so, non avrei dovuto pensarlo - e non riuscivo a farmene una ragione. Realizzai di aver compiuto qualcosa prossimo all’impresa quando il cellulare cominciò ad impazzire ed arrivò anche la telefonata del Presidente della Repubblica (Giorgio Napolitano, ndr). E allora me lo dissi: che ho combinato?". 

La sua infanzia non l’abbandona: s’innamora dei cavalli da bimbo. 

"Giocavamo nei cortili dei contadini, la nostra è Terra di Lavoro. Vivevamo a contatto con le giumente. Poi sorse una scuderia e nacque questo legame con un animale splendido. Oggi potrei dirle che faccio l’allevatore, ne ho cinque". 

Se si ferma un attimo, dove ritrova Clemente Russo? 

"A dormire in macchina, in autogrill, tra uno spostamento e l’altro. Correndo per non rinunciare a nessun impegno e non sentire il peso del sacrificio. Rifarei tutto e devo sempre citare i miei genitori e il maestro Brillantino per tutto ciò che mi hanno insegnato". 

Ha rimpianti? 

"Neanche uno: ho vissuto come volevo e come potevo. Anche gli errori servono. Sarebbe impensabile essere saggio a 25 anni oppure ritrovarsi cosparso da quell’esperienza che ti arriva solo nel tempo. Ecco, ora sono più consapevole, ma è una banalità e chiunque alla mia età si sente diverso". 

Il pugilato è cambiato o s’è modificato il mondo intorno al ring? 

"Forse più giusta la seconda ipotesi. Oppure: ha inciso maggiormente. Negli anni 60, 70, 80 e anche dopo, il richiamo pubblicitario della boxe era nettamente superiore. Adesso, un banner lo vanno a mettere a bordo di un campo di calcio, e ci sta. A quei tempi, un match tirava eccome". 

Quando vincevo all'Olimpiade, il mio maestro mi diceva: 'ci sono 80 criature che vogliono iscriversi'

Clemente Russopugile

Per fortuna che ci sono le Olimpiadi... 

"Ogni quattro anni si vive del quarto d’ora di celebrità. Poi cala il sipario e bisogna aspettare. Quando vincevo, il maestro mi chiamava e diceva: Clemé, devo chiudere le porte della palestra, ci sono 80 “criature” che vogliono iscriversi". 

Non negherà un passaggio sull’incontro con Don King. 

"Mi aveva definito 'la speranza bianca', andai a incontrarlo, voleva che combattessi per lui e sparai una richiesta altissima perché mi sembrava complicato esistessero le condizioni. Non si poteva fare. Non si fece. Ma fu stimolante".

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