Achille Costacurta choc: "Mi drogavo e ho tentato il suicidio. Mi hanno fatto 7 TSO"

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Il figlio di Billy e di Martina Colombari al podcast 'One More Time': "I medici non sanno come sia ancora vivo. Ho visto piangere mio papà quando chiedevo l'eutanasia". Il racconto di una storia difficile ma ora alle spalle

31 ottobre 2025 (modifica alle 20:24) - MILANO

Achille Costacurta, figlio di Billy e di Martina Colombari, ha raccontato gli ultimi anni della sua vita, difficilissimi, nel podcast “One More Time” di Luca Casadei. Anni di droga e rabbia, con un tentativo di suicidio e tante richieste di eutanasia a papà Billy, in lacrime di fronte a problemi così grandi. Un passato per fortuna messo da parte. Qui le frasi più significative.

la droga

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"Ho iniziato a fumare a 13 anni. Al compleanno dei miei 18 anni ho provato la mescalina (una sostanza allucinogena, ndr). Una volta ho avuto una colluttazione con la polizia. Ero sotto effetto e ho fatto il matto su un taxi. Il poliziotto arriva, mi tira un pugno in faccia, io ero allucinato quindi l’ho spaccato di legnate. Lì dopo poco mi fanno il primo TSO, me ne hanno fatti 7. Il problema era che, quando me l’hanno fatto a Padova, erano perfetti, gentilissimi, a Milano invece mi hanno legato al letto per tre giorni perché gli ho dato un colpo sulla spalla. Urlavo che mi serviva il pappagallo, io ero legato, mani e piedi, tutto, e mi dovevo fare la pipì addosso. Quando sono andato in clinica in Svizzera mi hanno detto: 'se fossi stato fuori altri 10 giorni saresti morto, perché hai il cuore a riposo a 150 battiti'. In Svizzera, ti dicono: 'Tu sei qua e puoi scegliere, se ti vuoi drogare c’è la strada, se invece hai bisogno di una mano, vieni qua e noi ti aiutiamo'. Mi hanno fatto cambiare vita, grazie a loro io non mi drogo più. Il loro approccio ti fa capire veramente le cose importanti. Li ringrazierò per tutta la vita".

il tentato suicidio

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"Ho iniziato a spacciare fumo. Arrivata la quarantena, tutti chiusi in casa, fumo non ce n’è. A me riusciva ad arrivare comunque tramite dei canali, avevo creato una rete e mi hanno arrestato a 15 anni e mezzo. Quindi faccio il mio compleanno dei 16 anni lì, in un centro penale comunità terapeutica. Non ce la facevo più. Allora aspetto la notte quando c’è un solo operatore ed entro in ufficio, lo distraggo e prendo le chiavi dell’infermeria. Lo chiudo dentro l’ufficio, lui con le sue chiavi riesce a uscire. Io però nel frattempo ero già in infermeria e prendo tutto il metadone che c’era, sette boccettine, mi chiudo in bagno e le bevo tutte, volevo suicidarmi. Arrivano i pompieri e sfondano la porta, poi l’ambulanza. Nessun medico ha saputo dirmi come io sia ancora vivo perché l’equivalente di sette boccettine di metadone sono sui 35, 42 grammi di eroina. La gente muore con un grammo".

l'adhd

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"In terza media non mi ammettono all’esame per il comportamento. Al liceo dopo 3 mesi mi sbattono fuori. Non mi avevano ancora diagnosticato l’ADHD, l'ho scoperto a maggio dell’anno scorso in questa clinica in Svizzera. Loro avevano già capito tutto senza farmi fare i test: 'tu ti volevi autocurare con la droga'. Il mio cervello non produce abbastanza dopamina. Io adesso prendo il Ritalin, nel primo mese che l’ho preso leggevo un libro in due, tre ore, scrivevo 40-50 pagine al computer in tre ore, cose che non riuscivo a fare prima. Da quando i miei genitori hanno fatto un corso genitoriale per l’ADHD, il nostro rapporto è cambiato da così a così. Prima in casa, quando litigavamo, io andavo fuori, spaccavo porte. Da lì non è mai più successo perché loro ora sanno come dirmi un 'no'".

i genitori

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"Mia mamma ha pianto tanto. L'unica volta in cui ho visto scendere una lacrima a mio papà è stato quando mi hanno portato via. Quando mi avevano fatto il depot, io tutti i giorni chiedevo di andare a fare l’eutanasia perché non avevo più emozioni e volevo morire. E lì l’ho visto piangere. Il giorno che esco dalla clinica mi viene a prendere mio papà. C’era un doppio arcobaleno. Io li scoppio a piangere dalla gioia, dalla felicità, abbraccio fortissimo mio papà e gli dico: 'hai visto che ce l’abbiamo fatta, ho smesso, e ce la farò e continuerò. Ce lo sta dicendo pure il cielo. C’è il doppio arcobaleno ti rendi conto?'. È stato uno dei momenti più fighi. Anzi, dopo chiamerò mio padre per ricordarglielo".

il futuro

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"Sono fiero di me, del fatto che sono riuscito ad avere una certa consapevolezza. Tutti i miei traumi sono riuscito a buttarli giù. Non ho filtri, non mi vergogno di quello che mi è successo perché alla fine sono una persona normale. Ho imparato a non dimenticare quei traumi ma a farne tesoro. Avendo provato gli eccessi, ora poche cose mi fanno veramente felice. L’unica cosa che mi fa avere le farfalle nello stomaco come l’amore sono i ragazzi con la sindrome di down. Perché non l’hanno scelto loro. Io li devo aiutare. È una delle poche cose che mi fa essere troppo felice. Il mio obiettivo è creare centri con i miei ideali, con i cavalli per fare ippoterapia, viaggi che voglio far fare, day hospital che voglio creare, devono essere davanti al mare, ogni ragazzo deve avere il suo labrador che lo porta a fare il bagno, farli venire anche dall’Africa perché nella religione vudù se sei albino, se sei autistico, se sei down ti ammazzano".

La Gazzetta dello Sport

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