Yates e quell'attacco lungo...7 anni. E da incubo il Finestre diventa la porta del paradiso

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Il britannico sette anni fa era stato spodestato da Froome proprio sullo sterrato, andando in crisi fino a vomitare. Quest'anno proprio su quei tornanti ha vinto il Giro

Alessandra Giardini

Collaboratore

31 maggio 2025 (modifica alle 21:00) - MILANO

Bisognerebbe inventare parole nuove per raccontare una storia così, ma non chiedetele a Simon Yates: tutta la fantasia che aveva l’ha messa in quell’attacco, tirando fuori la rabbia e la frustrazione e il crepacuore che aveva covato per sette anni. Non c’era una maniera più poetica di vincere il Giro d’Italia: farlo dove nel 2018, in maglia rosa, si era perso nella polvere. Si è buttato tra le prime braccia che lo hanno accolto, dopo il traguardo, e poi si è consegnato a un pianto consolatorio. Perché la vita può essere cattiva, ma qualche volta l’andata all’inferno prevede anche un ritorno. Simon non era più stato sul Colle delle Finestre da allora, da quel giorno in cui Chris Froome decise di prendersi tutto quello che gli era sempre mancato in un pomeriggio pieno di grazia. Aveva sentito dire che vinceva sì, ma senza fantasia, senza azzardo, senza cuore: quel giorno invece voleva tutto. Così, mentre Froome scriveva la sua storia con parole nuove, Simon Yates era annegato nello sterrato. Al mattino aveva un vantaggio rassicurante, più di tre minuti. Froome avrebbe dovuto fare una pazzia per portarglieli via, nessuno ci credeva davvero, soprattutto lui. È così che si vincono i Giri, e che si perdono. Fu un’impresa indimenticabile, e indimenticabile fu anche il suo rovescio: Simon Yates era andato in crisi a 13 chilometri dalla Cima Coppi ed era arrivato al traguardo, con la sua ultima maglia rosa addosso, quasi 39 minuti dopo Froome.

RIVINCITA

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Il giorno della presentazione del Giro, quest’anno, fu naturale andare da Simon Yates con l’altimetria della ventesima tappa. Ammise che non era più tornato lassù. "Di sicuro sarà emozionante. È un momento della mia carriera che è sempre presente, diciamo. Vediamo cosa succede questa volta". È successo che si è ripreso tutto quanto. Quando ha visto che c’era il Colle delle Finestre l’ha pensato, sì, come tutti. Ma pensava che sarebbe stato bello andarci di nuovo per chiudere un capitolo, magari per vincere la tappa. Aveva qualcosa da dimostrare a se stesso, ma non ci credeva davvero. Ci sono storie che sembrano disegnate meno a colori di altre. E Simon non è mai stato uno che fa rumore, non è appariscente, mentre volava verso il traguardo protetto dalla schiena di Wout van Aert sembrava minuscolo. Invece era appena stato enorme. Continuava a chiedere il distacco ai suoi direttori sportivi, alla radio. Mancavano duecento metri al traguardo ed era ancora lì a farsi dare i tempi. Non ci credeva, non ci ha creduto finché non gli hanno messo una mano sulla spalla e gli hanno indicato il podio e tutto quel rosa. Allora gli occhi gli si sono riempiti di lacrime. Quando una tappa ti rovina, come quella di sette anni fa, vai a piangere in camera, davanti allo specchio, perché gli uomini non piangono, ti hanno insegnato così. Quando una tappa ti esalta e ti restituisce ogni cosa, non te ne frega più niente degli altri: sei tu di fronte alla cosa più grande che hai fatto, e puoi anche piangere fino a domani.

PIANO PERFETTO

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Ci metti una vita a prenderti quello per cui hai sempre faticato, lavorato, sacrificando le serate con gli amici, i fine settimana al pub, le vacanze d’estate. Il momento in cui Simon ha lasciato lì Del Toro e Carapaz è stato come tutto il resto della sua storia: solido, poco vistoso, sicuro. Gli altri si guardavano tra loro, Yates guardava avanti e spingeva, seduto sulla sella, non un gesto di troppo, senza sprecare un grammo di energia. Ma con premeditazione: se no perché Wout van Aert sarebbe andato in fuga e lo avrebbe aspettato e protetto all’inizio della discesa? Simon ha scalato il Colle delle Finestre in meno di un’ora: 59 minuti e 23 secondi, il tempo più veloce di sempre. Per prendersi tutto bisogna avere il coraggio di perdere ogni cosa, e Yates l’ha avuto: ma il segreto è in quello che gli era successo sempre lì, sulle Finestre, nel 2018. Quando hai già perso tutto una volta, non hai più paura. Sono passati sette anni da quando Yates si è tolto la maglia rosa che aveva portato per tredici tappe. Sette anni in cui sono successe molte cose: c’è stata una pandemia, il Regno Unito è uscito dall’Unione Europea, il mondo ha un nuovo Papa che domani saluterà il corridore inglese in maglia rosa. Oggi Yates ha 32 anni, questa è la sua prima stagione da professionista in una squadra che non sia la Jayco AlUla, o come si chiamava prima. Ha continuato a vincere: la Vuelta, due tappe al Tour, la Tirreno-Adriatico, il Tour of the Alps, altre tre tappe al Giro. Ma la maglia rosa no: nel 2021 è arrivato sul podio dietro a Bernal e a Caruso. Nel 2023 è stato quarto al Tour de France, ma secondo a casa Yates, visto che il suo gemello Adam è arrivato sul podio a Parigi. Ha vinto tanto, ma voleva il Giro.

VOCAZIONE

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Cresciuti a Bury, nei sobborghi di Manchester, i due gemelli Yates hanno cominciato ad andare in bicicletta dopo che il padre John, in convalescenza dopo un incidente, li ha portati al National Cycling Center di Manchester a correre in pista con il suo club, il Bury Clarion. Fu amore a prima vista. Simon cominciò a correre, e da juniores ha sempre vinto in velodromo. Con la nazionale di pista ha vinto un Campionato del mondo juniores nel 2010. Nello stesso anno ha gareggiato per l’Inghilterra ai Giochi del Commonwealth, e in squadra con lui c’era Chris Froome, che otto anni più tardi gli avrebbe riservato la delusione più grande della sua carriera. Il debutto in un grande Giro fu al Tour de France del 2014, quello di Nibali: la partenza in casa fu un’esperienza indimenticabile, e Simon fece un’ottima impressione in salita. Due anni dopo un brutto episodio: la positività alla terbutalina durante la Vuelta al Pais Vasco. Squalifica, quattro mesi di sospensione con la squadra che fece passare l’accaduto come "errore amministrativo" e insomma niente Tour de France: Adam arrivò quarto, miglior giovane. Il duello indimenticabile tra i gemelli Yates andò in scena nella prima tappa di un altro Tour de France, nel 2023 a Bilbao, quando si contesero la maglia gialla, e mamma Suzy davanti alla tivù non sapeva cosa sperare: la prese Adam, ma quello fu un Tour grandioso per entrambi, rispettivamente terzo e quarto in classifica generale. 

Britain rider Simon Philip Yates of Team Visma | Lease a Bike wearing the overall leader's pink jersey, poses on the podium  after the 20th stage of the 108 Giro d'Italia 2025, cycling race over 205 km from Verres to Sestriere, 31 May 2025. ANSA/LUCA ZENNARO

IL PIU' SOLIDO 

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Il primo Giro di Simon fu quello delle Finestre e di Froome, col via a Gerusalemme. La squadra aveva due leader: Simon ed Esteban Chaves, ma anche gregari di lusso come Roman Kreuziger, Mikel Nieve e Jack Haig. La maglia rosa arrivò sull’Etna, alla sesta tappa. E Simon, in rosa, andò a vincere sul Gran Sasso e poi sullo strappo di Osimo e ancora a Sappada. Sullo Zoncolan fu secondo a pochi secondi da Froome, ma sembrava proprio il suo Giro. Almeno fino alle Finestre. Quando si arrivò a Roma Yates era addirittura ventunesimo ma pochi mesi dopo, in Spagna, fu lui a completare l’anno santo dei corridori britannici: a Froome il Giro, a Tomas il Tour, a Simon la Vuelta. Per chiudere il cerchio della sua storia, invece, Simon Yates aveva un’occasione perfetta: andare a vincere il Giro dove sette anni fa l’aveva perso. Oggi. Era già sullo sterrato quando è andato virtualmente in rosa. Poi il virtuale l’ha trasformato in reale, e tutto quello che è venuto prima è ormai dimenticato. La tattica della Visma | Lease a bike è stata impeccabile, a differenza di quella dei rivali, e anche i fraintendimenti di ventiquattr’ore prima sono ormai passato. Al traguardo di Champoluc Yates aveva detto che le tattiche di squadra erano state del tutto diverse da quelle che avevano preparato, lasciando intendere che ci fosse un po’ di maretta. Ma questa mattina in partenza era stato lo stesso Simon a minimizzare. "Tipico da parte mia, dopo una giornata durissima di gara, avere un’uscita sfacciata e forse un po’ troppo diretta. Ma ne abbiamo parlato più tardi con la squadra, come facciamo sempre, e proveremo a migliorare". Solido, poco appariscente, sfacciato, diretto. Alla fine, il migliore. 

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