"Un seme d'oro per il nostro sport": il commento di De Felice dopo la vittoria mondiale del 1982

13 ore fa 3

L'editoriale dell'ex condirettore della Gazzetta dello Sport dopo la vittoria dell'Italia di Bearzot

14 giugno - 15:35 - MILANO

Oggi ci ha lasciato Gianni de Felice, ex condirettore della Gazzetta. Questo il commento in prima pagina che scrisse sulla Rosea del 12 luglio 1982, quando l'Italia diventò campione del mondo per la terza volta.

Siamo campioni del mondo! Un attimo d'incredulità rende esitanti nel leggere o scrivere questa magica frase. Siamo campioni del mondo: ci ripetiamo storditi di gioia per convincerci che è fatta, che è proprio vero, che non si tratta di un sogno o una beffa, che nessuno può più portarci via la coppa e il titolo conquistati dagli azzurri ieri sera a Madrid in una indimenticabile notte. Ed allora, a poco a poco, l'incredulità cede il passo all'orgoglio. Siamo campioni del mondo e lo siamo diventati nel più limpido ed esaltante dei modi.

Lo siamo diventati battendo - con un'impresa che non ha precedenti nella storia del mondiale di calcio - l'Argentina che deteneva il titolo e il Brasile che vantava la più quotata candidatura a succederle, eliminando i due colossi del calcio sudamericano con una sensazionale "accoppiata". Lo siamo diventati arrivando a giocare, dopo le brutte e incerte partite della prima fase, un calcio pratico e intelligente: un calcio che non ha ripudiato completamente la vecchia tradizione difensiva italiana, ma ha saputo modernizzarla abbinandola al fantasioso estro di Conti, alle incursioni del terzino Cabrini, alla regia del migliore Antognoni che si ricordi, alla velocità offensiva necessaria per smarcare Rossi e rendere proficui i suoi inafferrabili guizzi. Lo siamo diventati elevando Paolo Rossi - il più popolare degli azzurri, insieme con l'ormai mitico Zoff - ai vertici della classifica dei cannonieri e quindi dei valori mondiali assoluti: con i tre gol inflitti al Brasile Rossi ha oscurato le stelle più attese della grande rassegna spagnola, da Maradona a Zico, da Eder a Boniek, e sul piano della simpatia ha velato anche la fama del più poderoso Rummenigge.

Lo siamo diventati senza dovere arrossire per alcun aiuto degli organizzatori o degli arbitri: dovevamo giocare sul campo piccolo di Barcellona e là ci hanno lasciati, dovevamo andare in scena con l'orario pomeridiano e in un caldo torrido abbiamo combattuto le battaglie più aspre; e se è vero che ci fu perdonato un rigore nella peggiore delle nostre partite (quella contro il Perù), è vero anche che ci è stato ingiustamente annullato un gol contro il Brasile e che è stato consentito ai polacchi di aggredirci con inusitata violenza. Lo siamo diventati, infine, superando nell'ultima sfida un'avversaria - la Germania campione d'Europa - che figurava tra le "favorite" per la conquista del titolo, quando l'Italia veniva quotata 40 a 1.

Ecco, così siamo diventati campioni del mondo. E i meriti della prodigiosa squadra adottata e strenuamente difesa da Bearzot vengono esaltati dalle circostanze che hanno fatto da sfondo al suo trionfo. Abbiamo infatti conquistato il terzo titolo mondiale - dopo quelli del '34 e del '38 - in uno dei momenti più grigi e più imbarazzanti dell'intera storia del nostro calcio. Dal 1970, cioè dall'epoca di un'altra finale mondiale degli azzurri, il calcio italiano aveva ottenuto soltanto due affermazioni a livello internazionale: quella della coppa delle coppe 1973, strappata dal Milan al Leeds a Salonicco, e quella della coppa Uefa 1977, conquistata dalla Juve a Bilbao. Negli ultimi anni i risultati dei nostri club erano stati così modesti, da indurre la federcalcio europea a declassare la partecipazione italiana da quattro a due squadre nella coppa Uefa. La scarsezza di calciatori di talento - concentrati in un paio di formazioni del nostro campionato - aveva contemporaneamente indotto la federazione italiana a riaprire, dopo una lunga "autarchia", le frontiere ai giocatori stranieri. Come se non bastasse, il nostro miglior prodotto dell'ultima generazione, Paolo Rossi, era stato bloccato per due anni da una squalifica.

Non c'è alcuna contraddizione fra la splendida impresa azzurra del mondiale spagnolo e la negativa situazione che le ha fatto da sfondo: sappiamo di che cosa è frutto questo titolo mondiale. Ma dobbiamo sapere che esso ci impegna ora ad esserne degni, a sfruttare l'entusiasmo e lo slancio per la soluzione di tanti vecchi problemi e per una evoluzione di mentalità che non può restare limitata agli azzurri. La prodezza degli uomini di Bearzot non deve restare una felice parentesi, aperta fra le polemiche e chiusa con il trionfo di ieri notte. Deve essere un seme. Un seme d'oro per il futuro del nostro calcio e del nostro sport.

La Gazzetta dello Sport

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Leggi l’intero articolo