Torricelli: "Mia moglie tagliava i capelli a Del Piero. Quando è morta sono tornato a fare il falegname"

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L’ex campione della Juventus si racconta: "Baggio mi chiamava 'Geppetto'. Quando Barbara è morta ho lasciato il calcio per stare coi figli, piangevo da solo per mostrarmi forte. Ora Lucia mi ha dato una luce nuova"

Lorenzo Cascini

15 ottobre 2025 (modifica alle 23:18) - MILANO

La storia di Moreno Torricelli è quella di uomo che si è fatto amico lo schiaffo del vento, soffrendo e custodendo il dono prezioso della tenacia. Nel dolore prima, nella rinascita poi. Nei tanti silenzi ha scoperto il segreto di un nuovo inizio, imparando come si raddrizza quel legno storto che chiamiamo vita. "Le disgrazie capitano a tutti, non solo a me, dipende come le affronti e come reagisci". Torricelli con la Juventus ha vinto tutto, arrivando dai dilettanti. Una scommessa vinta da Trapattoni. Faceva il falegname, si scoprì calciatore di Serie A. Poi, dopo il ritiro, ha dovuto affrontare il dramma della moglie Barbara, scomparsa nel 2010. Una leucemia fulminante l’ha portata via. "Per tanti mesi, mentre lottavamo contro la malattia, ho cercato di rassicurare tutti, mi sono tenuto tante cose dentro. Non volevo che lei e i nostri figli perdessero la speranza".

Torricelli, partiamo dall’inizio. Il suo arrivo alla Juventus sembra la favola di un uomo baciato dal destino. Ce lo racconti. 

"Avevo 22 anni e giocavo tra i dilettanti. La mattina lavoravo come falegname in mobilificio e la sera andavo ad allenarmi. Era il ‘92 e la Juve aveva molti giocatori impegnati con la Nazionale per un tour promozionale del Mondiale americano, così per fare delle amichevoli chiamarono me e altri ragazzi. Per me era già un sogno essere lì. Piacevo a Trapattoni, che scelse prima di portarmi in tournée in Giappone con loro e poi di farmi esordire in campionato. 'Se non mi prendono Vierchowod, io punto sul ragazzino', diceva. Gli devo tutto. Ha avuto il coraggio di mettere uno sconosciuto titolare in Serie A". 

E lo spogliatoio come la accolse? 

"Bene, avevano letto anche loro la storia sui giornali. Pensi che Baggio, per scherzare, mi chiamava 'Geppetto'. E vengo soprannominato così ancora oggi. Per Trapattoni, brianzolo come me, ero 'legname'. Ovvero falegname". 

Parliamo di un ragazzino che entrava in uno spogliatoio pieno zeppo di campioni: c’era qualcuno che la metteva un po’ in soggezione? 

"All’inizio sì, ero un po’ timido. Non era il mio mondo, dovevo abituarmi. Pensi che in tre mesi sono passato da uno stipendio di 2-3 milioni di lire a uno di ottanta. Per esempio, subivo un po’ la personalità di Vialli, eravamo arrivati insieme: lui da campione d’Italia con la Samp, io da sconosciuto. Poi, con il tempo, siamo diventati amici. Ricordo che non gli piaceva guidare, quindi lo passavo a prendere tutte le mattine per portarlo al campo. È stato un fratello e un grande capitano". 

C’era anche un certo Zinedine Zidane. 

"Zizou arrivò più avanti, accompagnato da un po’ di scetticismo da parte di televisioni e giornali. Avevamo ceduto Vialli e Ravanelli e venivamo dalla vittoria della Champions. Io Zidane non lo conoscevo, ma al primo allenamento rimanemmo tutti a bocca aperta. Veronica, due dribbling e via. Apriti cielo. Ci guardammo come a dire: 'da che pianeta arriva questo?'".

Anche se il suo preferito resta Del Piero. 

"Certo, per me è un gradino sopra gli altri… e non perché sono di parte. Io e Alex passavamo tanto tempo insieme, visto che eravamo tra i più giovani del gruppo. Lui, però, era già un campione. La Juve lo aveva pagato tanto, ne parlavano tutti come il futuro del calcio italiano. Abbiamo subito legato, frequentava molto casa mia. Mia moglie, che faceva la parrucchiera, gli tagliava anche i capelli. Tante volte si fermava a cena da noi, quante risate ci siamo fatti". 

Già, Barbara. Una malattia l’ha portata via a 40 anni. 

"Una leucemia terribile. La cosa più brutta fu doverlo spiegare ai miei figli. Avevano 15, 11 e 10 anni. I medici mi informarono che la situazione era grave fin da subito, ma io inizialmente scelsi di non dire nulla in famiglia. Non volevo che perdessero la speranza". 

E lei, invece, l’ha mai persa? 

"Mi sono tenuto tante cose dentro, ho finto in molte occasioni e sopportato in altre. Piangevo da solo, a casa e in ospedale avevano bisogno di vedermi forte. È stato un calvario lungo 10 mesi. Solo negli ultimi giorni sono crollato e ho detto a mia moglie quale fosse realmente la sua condizione". 

Il calcio le ha dato tanto, poi la vita si è rifatta con gli interessi… 

"Le disgrazie capitano a tutti, non solo a me. Dipende come le affronti e come reagisci. Io nel calcio ho vissuto una favola, vincendo tanto con la Juve. Fuori ho avuto Barbara, con cui ho passato 20 anni bellissimi e con cui ho fatto 3 figli meravigliosi. Non ho rimpianti, né rimorsi". 

Dopo la morte di sua moglie ha scelto di smettere completamente con il pallone. Al tempo faceva l’allenatore, ma rifiutò diverse offerte… 

"Sì, avevo una proposta importante dal Crotone in Serie B, ma come avrei potuto accettare? Per i miei figli già perdere la mamma è stata una mazzata, figuriamoci cambiare casa, città e perdere tutti gli amici. Ora tornerei volentieri in panchina, magari partendo dai ragazzi". 

Cosa fa oggi Torricelli nella vita?

"Sono tornato a fare quello che facevo da ragazzino: il falegname. Aiuto un artigiano della zona qui in Valle D’Aosta e mi diverto a costruire l’alpeggio della mia nuova compagna, Lucia. Lei è stata importante nella mia rinascita, mi ha dato una luce nuova, entrando in punta di piedi nella mia vita. Anche con Arianna, Alessio e Aurora è stata molto delicata. Per loro la mamma è e resterà sempre una".

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