Thiam: "Paravo a mani nude, non avevo soldi per i guanti. Ora voglio la Juve Stabia in A"

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Tra i protagonisti del club di Castellammare che, in 118 anni, non era mai arrivato a giocarsi i playoff c'è l'ex Spal, uno dei numeri 1 più talentuosi della B. E la sua è una storia che parte da lontano, dalla sua Dakar, in Senegal: "Sono arrivato in Italia a 15 anni e per tre anni nessuna società poteva tesserarmi. Poi..."

Oscar Maresca

9 maggio - 10:12 - MILANO

Un antico proverbio senegalese dice che “nessun sentiero porta a un albero senza frutti". Il lungo percorso di Demba Thiam è iniziato sulla sabbia di Dakar, non aveva i guanti e indossava una divisa arrangiata: "Con gli amici giocavo ovunque, in spiaggia e per le strade. Paravo a mani nude. Per me, i guanti erano come oro. Non avevo soldi per comprare un nuovo paio ogni mese". L’attuale portiere della Juve Stabia è cresciuto ammirando le imprese di Peter Cech in tv: "Andavo a casa di un amico per guardare le partite. Sognavo di giocare in Europa, come lui. Ho sacrificato tutto per avere un’occasione, anche la scuola". A 15 anni, l’Italia è diventata la sua seconda casa: "Mi sono trasferito da uno zio a Viareggio, ero ancora minorenne. Nessuna società avrebbe potuto tesserarmi. Per tre stagioni mi sono allenato e basta, ogni giorno". Adesso Thiam ha alzato il muro davanti alla porta dei gialloblù. Il club di Castellammare è già certo di un posto ai playoff. 

Quel sentiero tortuoso l’ha portata fino a qui. È felice? 

"Abbiamo fatto una piccola impresa. A inizio stagione, da neopromossi, il nostro obiettivo era la salvezza. Ci siamo fatti questo regalo e ora vogliamo arrivare più lontano possibile. Prima però ci sono le ultime due partite di campionato, siamo concentrati". 

In 118 anni di storia, mai la Juve Stabia era arrivata a giocarsi l’accesso in Serie A. 

"Affronteremo i playoff senza ansia, non abbiamo nulla da perdere. Mister Pagliuca è un perfezionista, prepara le partite in maniera dettagliatissima. Il gioco spesso parte da me, quando posso, mi piace impostare. Ma non sono un calciatore ossessionato da classifiche, dati, statistiche. Odio anche i social, si fa troppo rumore: nel bene e nel male". 

Nella scorsa stagione, per alcune settimane, è stato il portiere meno battuto d’Europa. Meglio di Donnarumma, Alisson, Sommer. Come ha vissuto quei paragoni importanti? 

"Viviamo categorie diverse, pensavo soltanto a me stesso ed evitavo di leggere gli articoli. Preferisco isolarmi quando non sono in campo e dedicare il tempo a mia moglie Gabriella e alla piccola Aidina". 

Ha sempre voluto diventare un portiere? 

"Fin da quando giocavo sulla sabbia in Senegal. Nei tornei con gli amici ero sempre tra i pali. Mi tuffavo in continuazione e la divisa era costantemente sporca di fango. I guanti non li usavo, preferivo non rovinarli. Sono alto più di 2,02 metri e da piccolo ho provato anche il basket. Avevamo un canestro in casa, però la passione per il calcio era troppo forte". 

Chi era il suo idolo? 

"Peter Cech, sognavo di diventare un campione e di giocare in Europa. Nel mio Paese frequentavo una piccola scuola calcio, passavo tutta la giornata ad allenarmi. La mia famiglia ha fatto tanti sacrifici per consentirmi di studiare, ma i libri non mi piacevano. E nel 2013, a 15 anni, sono arrivato in Italia". 

Però ha esordito soltanto tre anni dopo con la formazione Berretti della Spal. 

"Non potevo firmare per nessun club prima della maggiore età. Ho passato tre anni ad allenarmi tra Livorno, Viareggio, Prato. Quel periodo mi ha aiutato a diventare ciò che sono oggi. Non ero perfetto, miglioravo e imparavo. Per un ragazzo giovane vivere tre stagioni senza giocare è tutt’altro che semplice". 

Ricorda la sua prima partita? 

"Certo, contro il Bassano del Grappa: finì 1-1. Fino a quel momento non avevo mai giocato una gara ufficiale. Era il 2016, avevo 18 anni, è stato l’inizio della mia carriera". 

Ha bruciato le tappe, in quattro anni è passato dalle giovanili alla Serie A. 

"Di Biagio mi ha fatto esordire contro il Torino durante la ripresa del campionato post Covid. Erano sei giornate che la Spal non conquistava punti e in quella partita pareggiammo. Ero felice per l’opportunità, non avevo alcun timore. In carriera non ho mai avuto paura di nulla". 

Era in campo anche nell’ultima sfida della stagione contro la Fiorentina. 

"Perdemmo 3-1, ricordo benissimo la mia prima parata sul tiro di Chiesa". 

Alla Spal ha lavorato anche con Daniele De Rossi. 

"Il mister è una persona speciale, ci sentiamo spesso. A Ferrara ci fermavamo sempre dopo gli allenamenti per sfidarci sui calci di rigore". 

Chi vinceva? 

"Lui, ovviamente. Mi creda: non sono mai riuscito a parare un suo tiro dal dischetto. Eppure, in carriera, qualcuno ne ho preso". 

Due anni fa a Foggia è stato vittima di un episodio di razzismo. A che punto siamo, secondo lei, nella lotta alla discriminazione? 

"C’è tanto da fare. Da portiere conosco meglio di tutti la situazione. Per 45’ sono fermo in area a pochi passi dai tifosi avversari, me ne dicono di ogni. Ma non li ascolto. Delle offese non mi importa nulla. So bene chi sono, da dove vengo e quello che faccio". 

Oltre il calcio, come trascorre il tempo libero? 

"Insieme alla mia famiglia. Tra allenamenti, gare e trasferte noi calciatori siamo sempre in giro. Devo ammettere però che sono un grande appassionato di musica: da Adriano Celentano a Pino Daniele. Mi carico così, poi prego appena prima di entrare in campo. La fede è sempre stata importante nella mia vita". 

Qual è la prossima tappa del sentiero? 

"Sono un lavoratore, mi impegno al massimo sia in allenamento che in partita. Così come tutta la squadra. L’anno scorso eravamo sfavoriti e abbiamo vinto il campionato. Quest’anno puntavamo la salvezza e siamo arrivati ai playoff. Chi lo dice che non possiamo raggiungere la finale? Noi continuiamo a correre".

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