Saviano: "In Italia-Argentina del '90 tifai per Maradona con mio papà. Adoro Lobotka, aspetto il vero De Bruyne"

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Lo scrittore sulla squadra del cuore: "Hojlund mi fa impazzire, aspetto che McTominay torni a segnare. Sogno un altro scudetto. Con Diego c'è un rapporto sacro, quando segnò da centrocampo col Verona mio padre mi scaraventò per terra"

Antonio Giordano

Collaboratore

12 ottobre - 11:32 - MILANO

La solitudine è "l’assenza di testimoni nella vita; la sofferenza di non poter condividere emozioni": e su quel palco dell’Auditorium Santa Chiara, in quell’ora per il Festival dello Sport, Roberto Saviano racconta se stesso, la sua esistenza in quella bolla - anzi, la palla - che diventa compagna con cui riveder se stesso. La solitudine è ormai un’abitudine, lascia ascoltare il ticchettio dei secondi che volano via e però in teatro diventa altro: "Si trasforma nel piacere di ascoltare il respiro della gente, di cogliere le loro reazioni, di annusarli". E diventa quasi una carezza, per non sentirsi mai veramente soli (soprattutto se si parla di Napoli, di Maradona, del papà, in un monologo per cuori forti) standosene su un palcoscenico tutto suo, solo suo. 

Saviano allo stadio... 

"Italia-Argentina, Mondiale del ‘90. Io con la bandiera azzurra, andiamo avanti, segna Schillaci. Poi pareggia Caniggia, sull’uscita sbagliata di Zenga che non so per quale motivo sia andato a cercare il pallone. Sono un bambino, in genere quando andavo al San Paolo stavo seduto sulle ginocchia di mio padre, che quella volta a un certo punto coglie il cambiamento del vento, qualcuno che fischiava Diego, e si unisce al coro in sua difesa: Diegoooo, Diegoooo, Diegooo. Mio padre si gira e mi dice: che devi fare con questa bandiera. Da quel momento, si tifa per Maradona, la nostra Patria". 

Saviano e gli scudetti. 

"Tutti belli, ma se devo votare metto il primo, chiaramente, lo spartiacque che ci introduce nell’universo dei vincenti, e il terzo, che ci restituisce quella condizione, perché 33 anni rappresentano un vuoto generazionale e ci sono ragazzi cresciuti senza aver idea di cosa volesse dire essere campioni d’Italia. Io lo so ma non sono mai sazio". 

Saviano e gli allenatori degli scudetti. 

"Io voto Bianchi, un asceta, con quella sua freddezza indispensabile per governare gli spiriti bollenti di un ambiente mica semplice. Invece lui, che Napoli la aveva conosciuta bene da calciatore, fu capace di scrivere la storia. Poi Spalletti, che mi ha regalato anche il piacere dello spettacolo. Ma sono grato a Bigon e a Conte, al quale mi viene da chiedere: ce lo regali il bis?". 

Saviano e Maradona. 

"Il più forte, il più bello, il più atleta con quel corpo che è stato capace di respingere quello che si buttava dentro. Si allenava poco, ricordo il mercoledì, quando si svuotavano le scuole per andarlo a vedere. Lui non è stato un giocatore, nel suo rapporto quasi sacro con la città". 

Saviano e Lobotka (il suo preferito). 

"L’intellettuale, come già detto, che però mi sta inquietando, perché sta giocando sotto ai suoi standard di rendimento. E l’infortunio non ci voleva. Ma forse riposare gli farà bene, lo aiuterà a tornare se stesso. Magari ha tirato troppo la carretta". 

Saviano e gli attaccanti. 

"Hojlund mi fa impazzire, è speciale. E mi ha conquistato aiutandomi a superare la paura per l’infortunio di Lukaku. Anzi, ora prediligo lui, il danesino, che mi sembra senta e veda la porta come un centravanti di razza". 

Saviano e il passato. 

"Quelli che mi ha raccontato papà, quelli che ho conosciuto io, quelli che mi fanno compagnia adesso. Io non dimenticherò mai Cavani, ci mancherebbe; e neppure Lavezzi, perché noi con gli argentini abbiamo una empatia particolare". 

Saviano oggi: lui è De Bruyne. 

"Un mio amico che ama la Premier e ha visto decine e decine di partite del City mi ha incoraggiato: non è ancora lui, neanche al 50%. E mi ha rincuorato, perché la prime esibizioni mi avevano lasciato un po’ perplesso. Poi gradualmente ha cominciato a mostrarsi, sempre restando distante dalla narrazione che si ha di lui e anche da quello che avevo avuto modo di scorgere in tv. E poi aspetto che McTominay ricominci a segnare come nella passata stagione. Fin quando c’è Hojlund, siamo a posto, ma se dovesse fermarsi?". 

Saviano e la foto simbolo dell’infanzia. 

"Il gol di Maradona da centrocampo contro il Verona. Visto più o meno a metà, perché mio padre m’ha scaraventato in terra, facendomi prendere quasi una musata". 

Saviano e la delusione. 

"Lo scudetto del 2018, quello perso in albergo a Firenze, quando la Juve ribaltò l’Inter a Milano. Però ciò non mi fa ignorare Sarri, anzi: aver visto quel calcio ha riempito gli occhi a chiunque, non solo a noi napoletani. E’ stato uno spettacolo meraviglioso sempre". 

Saviano e il (piccolo) sogno. 

"Restiamo nel calcio, senza uscirne, com’è giusto che sia in questa circostanza: ancora uno scudetto, magari subito, perché ci manca questa sensazione: metterne assieme due, uno dietro l’altro. Significherebbe dimostrare che siamo una forza. E De Laurentiis vuole esserlo, si vede da come ha costruito la squadra, da come ha investito". 

A proposito, Saviano e la Champions League. 

"Un’atmosfera magica, però la sconfitta con il Manchester City un po’ mi ha preoccupato perché ci hanno sopraffatto. Vero, abbiamo giocato in dieci, però...E comunque, la vittoria sullo Sporting Lisbona mi ha rigenerato subito, aspetto la sfida con il Psv per riacquisire speranza di qualificazione". 

Saviano che "sconfigge" la solitudine. 

"Al Maradona a vedere il Napoli. O comunque ad assistere ad una partita del Napoli. Non è semplice ma non mi dispiacerebbe. Anzi, per dirla tutta, mi piacerebbe proprio tanto".

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