L'austriaco doppio ex: "Sono un po' milanese e un po' romano, vorrei che nessuna delle due perdesse. Il romeno mi sembra a buon punto, i giallorossi sono troppo dipendenti da Dybala e Soulè". E su Pio Esposito: "Forse è quello che mancava all'Italia"
Neanche una serata microfono in mano nel solito locale viennese lo diverte quanto la “sua” partita: Herbert Prohaska, austriaco riccioluto e talento canterino, è rimasto in Italia tra il 1980 e il 1983 (due anni nerazzurri, uno giallorosso scudettato) ed è ancora inseguito dalla solita domanda: "Ho la risposta pronta per tutti: per me Roma-Inter finisce pari. E, come dite voi, vissero felici e contenti...".
Diplomatico.
"No, direi più... emotivo. Parla il mio cuore: io sono un po’ milanese e un po’ romano. Non vorrei che nessuna delle due perdesse, anche se stavolta il pari serve solo al Napoli del mio amico Lele (Oriali, ndr). Per me l’Inter resta comunque la migliore della A, ma occhio alla Roma dopo questa partenza a razzo".
Si aspettava i giallorossi così poco... gasperiniani?
"Concedono poco, difendono bene: sembrano più una squadra di Ranieri! Ma l’ho imparato in Italia, comandano solo i risultati, quindi bene così: se poi trovano continuità davanti, possono diventare molto pericolosi, anche se lo scudetto è un po’ troppo".
Tra i giocatori in campo all’Olimpico c’è un Prohaska?
"Uno elegante come me? (ride, ndr). Spero solo che qualcuno ci faccia divertire e, nello stesso tempo, riesca ad aiutare la squadra. Se devo fare un nome, più che Soulé, dico Mkhitaryan che è cervello e piedi insieme".
Tra Roma e Inter si è parlato e si parlerà ancora di Koné: è il giocatore che avrebbe fatto svoltare i nerazzurri?
"Mi pare il classico giocatore moderno che varrà una montagna di soldi. Al momento, mi pare più adatto alla Roma, all’Inter tra Calhanoglu, Mkhitaryan e Barella dove lo metti? Ho la sensazione che, alla fine, sarebbero rimasti loro i titolari".
In realtà, però, c’è anche Sucic...
"Lo sto seguendo con attenzione, all’inizio pensavo fosse quello che era qui al Salisburgo, poi ho scoperto che Petar era il cugino: anche l’interista è molto interessante, ha qualità e visione".
Come è il nuovo talento azzurro Pio Esposito visto a distanza?
"Non so se si parli troppo di lui, ma è un grande talento, forse quello che mancava all’Italia. A proposito, spero non facciate più scherzi: senza di voi, che Mondiale è? Giocare all’Inter con Thuram e Lautaro non è facile, anche il nostro Arnautovic è rimasto schiacciato, mentre a Roma non c’è tutta questa qualità davanti. Molto o tutto passa dai piedi di Soulé e di Dybala, che però gioca troppo poco".
In generale, a che punto è arrivato il cantiere di Chivu?
"Mi pare molto avanti, ed è sorprendente perché arriva dopo una finale di Champions: sa che deve vincere subito, altrimenti sarà già in discussione".
In Gasp e Chivu vede qualcosa dei suoi maestri in Serie A, Bersellini e Liedolhm?
"Sono uomini di altri tempi quei due, uno più duro e l’altro più paterno: ho avuto fortuna a conoscerli. Posso solo augurare agli allenatori di oggi di essere grandi come loro...".
Nei suoi sabati con la “Pete Art & Band” che canzoni dedicherebbe a questi due tecnici?
"A Gasp un classico 'Grazie Roma', la canzone eterna con cui concludo i concerti. A Chivu un 'Diamante' di Zucchero perché la sua squadra brilla".
Dica la verità: che effetto le fa vedere Oriali trionfante a Napoli?
"Non mi dà fastidio, ma mi dispiace un po’. So che è molto amico di Conte e capisco perché sia andato lì, però spero che un giorno torni all’Inter perché il suo sangue è nerazzurro. Come quello di Beccalossi, altro grande amico e il giocatore più “maradoniano” che ho visto. So che sta meglio, sono disposto a subire di nuovo i suoi scherzi pur di tornare a cena con lui...".