In una settimana nel 2020 è passato dalla panchina dell'Under 23 bianconera al ruolo di successore di Sarri. È l'ultimo tecnico juventino ad aver vinto 2 trofei in una stagione, ma tre anni dopo si ritrova costretto a ripartire dalla periferia del calcio
"Maestro" in campo, "predestinato" in panchina. L'equazione sembrava scontata per Andrea Pirlo, uno dei più grandi centrocampisti italiani di sempre, catapultato nel giro di un anno e mezzo dai campi della Mls (dov'era andato a chiudere la carriera) alla panchina della Juve reduce da 9 scudetti consecutivi. Eppure, nonostante sia l'ultimo tecnico ad aver alzato due trofei nella stessa stagione con i bianconeri, dopo 5 anni è costretto a ricominciare dalla Serie B degli Emirati Arabi, dopo aver collezionato delusioni dalla Turchia alla Samp. "Il calcio che mi piace" (titolo della sua tesi al corso Uefa Pro a Coverciano) non ha ancora trovato estimatori.
gli inizi di pirlo il predestinato
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È l'8 agosto 2020 quando Andrea Agnelli lo elegge come successore di Sarri sulla panchina juventina, promuovendolo dal ruolo di tecnico della Next Gen che gli aveva assegnato poco più di una settimana prima. Una promozione lampo, figlia di quella guardiolite che ha colpito i club negli anni Duemiladieci, facendo scottare parecchi allenatori: da Inzaghi a Seedorf, da Ferrara a Brocchi. "È stato un predestinato da calciatore: pensiamo con grande convinzione che possa esserlo anche da allenatore", lo presenta Paratici. "Se parliamo di conoscenze, è ai livello massimi nel mondo", aggiunge il numero uno degli allenatori italiani, Renzo Ulivieri. Insomma, gli elogi si sprecano. E pensare che si era partiti 7 anni prima da quel "Non farò mai l'allenatore" che Pirlo aveva inciso sulla sua autobiografia "Penso quindi gioco". Un dietrofront che è tutta colpa (o merito) di Antonio Conte. "È stato il primo che mi ha fatto pensare di studiare da allenatore, quindi gli sono grato, mi ha insegnato tante cose da giocatore e da lì è nata quella cosa di pensare ad un futuro da allenatore", svela Pirlo nel giorno della presentazione sulla panchina della Juve. Quell'8 agosto 2020, l'ex centrocampista, tra l'altro, allenatore non lo è nemmeno ancora ufficialmente: lo diventerà solo il 14 settembre, conseguendo il patentino Uefa Pro con il voto di 107/110 e la tesi dal titolo "Il calcio che mi piace".
la tesi di pirlo a coverciano
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Leggendo tra le 30 pagine del suo lavoro si scopre un tecnico dai principi moderni, che vuole mettere in mostra un gioco "propositivo, fatto di possesso e di attacco", che si schieri con una sorta di 3-2-5 o 2-3-5 in fase offensiva, con un portiere che sappia tenere alta la squadra in stile Neuer e "una squadra che si ispirerà al Barcellona di Cruijff e poi quello di Guardiola, all'Ajax di Van Gaal, al Milan di Ancelotti e alla Juventus di Conte". Pirlo trova una formazione che deve ringiovanire (dal mercato arrivano Chiesa e Kulusevski), che scambia Pjanic con Arthur, ma che può ancora contare su Cristiano Ronaldo. L'anno juventino dell'ex centrocampista è un continuo di alti e bassi: a serie di vittorie consecutive (6 gare quella più lunga) si alternano cadute rovinose: vince 3-0 a Barcellona e poco dopo perde in casa per 0-3 con la Fiorentina; batte il Milan a San Siro, ma cade allo Stadium con il Benevento; esce agli ottavi di Champions contro il Porto, ma alza Coppa Italia e Supercoppa Italiana. Quella di Pirlo è una Juve che aggancia all'ultimo minuto la qualificazione alla Champions League (grazie al suicidio sportivo del Napoli), ma lascia intravedere dei buoni margini di crescita. Ma è pure la squadra reduce da 9 scudetti di fila e non può permettersi l'insuccesso in campionato. Così, via alla restaurazione bianconera con il ritorno di Allegri e per Pirlo si apre un anno sabbatico.
pirlo, una carriera di passi indietro
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"Non cambierò idea solo perché alcuni risultati non sono stati buoni. La mia idea di calcio è ancora quella: costruzione dal basso, cercare di mantenere il possesso della palla e riconquistarla il più velocemente possibile quando la si perde", racconterà con orgoglio qualche mese dopo a The Athletic. La sliding door della sua carriera arriva nella primavera successiva: il Milan di Pioli è in semifinale di Champions, ma in crisi in campionato e Maldini pensa a lui per la stagione successiva. "Una chiacchierata tra amici", la definirà Pirlo qualche mese dopo. Anche perché, nel frattempo, il Milan è passato di mano da Elliott a Cardinale e Maldini è stato sollevato dall'incarico. Così, il "predestinato" riparte dalla Turchia, da quel Fatih Karagumruk piccola colonia italiana (Viviano, Biraschi, Borini e l'ex Lazio e Milan Lucas Biglia), ma ormai il destino ha preso una piega diversa per la sua carriera: lascia a tre giornate dalla fine del campionato, con più sconfitte (12) che vittorie (11), senza mai aver battuto una big e neanche essere in lotta per l'Europa. La nuova ripartenza avviene poco dopo a Genova, sulla panchina della Samp in Serie B, ma ormai i tempi degli elogi sono lontani: nella prima stagione, grazie a un'accelerata nel girone di ritorno, aggancia i playoff ma viene eliminato al primo turno dal Palermo; la seconda dura appena tre partite, che fruttano un solo punto contro Frosinone, Reggiana e Salernitana nonostante un mercato che gli aveva portato giocatori del calibro di Coda e Tutino. Adesso, un altro passo all'indietro: la seconda serie degli Emirati Arabi con lo United Fc di Dubai. Il colmo, per chi in campo ha fatto del gioco in verticale il suo successo.