(di Francesco Gallo)
"Sì, lo confesso, è stata
una sfida enorme portare sul grande schermo uno dei capolavori
più letti al mondo, ma non volevo adattarlo, come ha fatto
Luchino Visconti, piuttosto guardarlo con sguardo
contemporaneo". Così François Ozon parla al Lido de L'etranger
(Lo Straniero), in corsa alla Mostra d'Arte Cinematografica di
Venezia.
Siamo ad Algeri nel 1938. Meursault (Benjamin Voisin, già
visto in Illusioni perdute di Xavier Giannoli), giovane sulla
trentina, modesto impiegato, partecipa al funerale della madre
senza mostrare la minima emozione. Solo il giorno dopo inizia
una relazione con Marie (Rebecca Marder), una collega d'ufficio.
La sua quiete quotidiana, la sua apparente insensibilità,
vengono però interrotte dal malavitoso vicino Sintès (Pierre
Lottin) che trascina Meursault nei suoi loschi affari fino a
quando, in una giornata torrida, su una spiaggia, accade un
tragico evento.
Il film, distribuito in Italia da Bim e Lucky Red e girato
poeticamente in uno splendido bianco e nero, è sostenuto dalle
molte citazioni di Camus e nasce anche nello spirito delle 'Note
sul cinematografo' di Albert Bresson: "È stato importante
leggerle - dice Ozon -, è un'opera fondamentale per capire il
mondo di Meursault e la sua totale insensibilità".
Sull'esistenzialismo del personaggio spiega il regista: "Non
sono un filosofo, ma certo la dice lunga di come è rappresentata
nel libro l'assurdità del suo mondo e del fascino di Meursault
che sta nel fatto che sfugge ad ogni classificazione".
Il film di Visconti con Marcello Mastroianni? "Lo adoro, ma
lo stesso Visconti ha più volte spiegato che non ha potuto fare
il film che voleva davvero perché gli imposero che fosse molto
filologico. Comunque ai francesi è sempre sembrato strano vedere
un italiano come Mastroianni in un ruolo cosi francese come
quello di Meursault".
Il film, girato in Marocco, è molto attento nel
contestualizzare il rapporto tra francesi pieds noirs e algerini
e la forte discriminazione subita da questi ultimi. L'omicidio
di un arabo non sarebbe infatti poi così grave se non fosse per
l'assenza di pentimento di Meursault che scandalizza i giurati.
"Lavorando a questo film - sottolinea ancora il regista - ho
scoperto che in ogni famiglia francese c'è un legame con
l'Algeria. Mio nonno era giudice lì. Ma dopo essere sfuggito a
un attentato, è tornato in Francia. Anche da qui la scelta del
bianco e nero perché tutti i miei ricordi erano appunto in
bianco e nero".
'Lo straniero' si conclude con un lungo dialogo tra l'ateo
Meursault e il cappellano del carcere determinato a volerlo
redimere prima della sua condanna a morte, ma senza successo.
Qui Meursault dice al sacerdote una frase chiave della sua
visione del mondo: "Siamo in fondo tutti colpevoli e tutti
condannati a morte".
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