Nela: "Una famiglia falcidiata dai tumori, il mio come una partita. Vorrei parlare con un Maori"

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L'ex calciatore di Genoa e Roma al Corriere della Sera: "Sono sopravvissuto al cancro perché rispetto a D'Amico, Mihajlovic, Vialli e Paolo Rossi sono stato più fortunato. Falcao persona eccezionale, ma quel rigore..."

12 ottobre 2025 (modifica alle 11:20) - MILANO

Calcio. Musica. Malattia. Famiglia. Tutto Nela. A tutta fascia. Come quando giocava e vinceva. In un'intervista al Corriere della Sera, il terzino che fu (Genia, soprattutto Roma) si racconta. A partire dal nome: "Sebastiano è l’uomo nascosto sotto la maglietta da calcio. Sebino è il giocatore". Spiegando anche il significato di quel "Picchia Sebino" che i tifosi giallorossi cantavano: "Non ho mai picchiato nessuno. Si riferiva al fatto che ero tignoso in campo".

carriera

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Sebino non nasconde nulla. Nemmeno di essere entrato nel mondo del calcio grazie a una "segnalazione". "Ero tifoso del Genoa - dice -, come mio papà: ero magro e mi hanno scartato. Sono entrato con una raccomandazione. Un amico di mio padre, tifoso del Genoa, gli disse: 'Ci penso io'. Il primo campo in erba l’ho visto quando ho esordito in serie B: ho sempre giocato sulla terra, sulla pozzolana". La sua ascesa non è dissimile da quella di molti altri calciatori della sua epoca, diventati poi professionisti, cresciuti coi valori inculti loro dai genitori: "Tre ore di autobus al giorno. Sveglia alle sei, scuola, allenamenti, poi aiutavo i miei genitori nel loro ristorante. Aprivo i libri a mezzanotte, mi addormentavo subito. Mio padre ha sempre lavorato 18 ore al giorno, in cucina. È stato imbarcato sulle navi. Mia madre non si comprava le calze per prendere le scarpe da calcio a me". E ancora: "Ho ritrovato il primo contratto con la Roma: 40 milioni lordi di lire. I miei genitori hanno smesso di lavorare. Il momento più bello della vita è quando ho portato a casa il premio in denaro dopo l’esordio con il Genoa: papà si è messo a piangere".

libro

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Tutto ciò - e molto altro - si può leggere nel suo libro, Il vento in faccia e la tempesta nel cuore: "Sono timido, non mi piaceva l’idea di fare un libro di aneddoti: quante donne entravano in albergo in ritiro, queste stupidaggini qua. Ho detto: se decido di farlo, voglio raccontare Sebastiano". E ancora: "Lavorando in silenzio. All’inizio parlavo poco. La storia è cambiata nel secondo anno di Roma". Già, la Roma e Roma, l'apice della carriera. Il periodo grazie al quale Nela è entrato nella storia del calcio italiano. Vivendo uno scudetto, quello del 1983, e due grandi delusioni: "Ho capito immediatamente che cos’era la Roma. Le tifoserie rivali ci insultavano in tutti i modi: mi raddoppiavano le energie. Poi la finale di Coppa dei Campioni persa con il Liverpool, l’anno successivo. Ho avuto un buon pallone che però ha passato a Graziani. Avrei potuto calciare. Ma quella sconfitta l’ho digerita bene. È stata peggio quella con il Lecce che ci è costata lo scudetto due anni dopo. Roma è la città perfetta, a Milano ci sono più distrazioni. C’è un solo dato di fatto: non abbiamo mai avuto patron forti, a eccezione di Dino Viola e Franco Sensi, con cui abbiamo vinto. Quello che è ora De Laurentiis. Ma l’ambiente non c’entra nulla. Anche perché la Roma ha una delle migliori tifoserie d’Europa. Falcao? Persona meravigliosa. Ma quando non ha calciato il rigore in finale con il Liverpool, mi ha deluso. So che un paio d’anni fa si è pentito...".

musica

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Dalla Roma alla musica. Ma sempre della capitale si tratta, perché uno dei suoi più celebri cantori, Antonello Venditti, gli ha dedicato una canzone, Correndo correndo: "Eravamo in ritiro a Montecatini, l’ha suonata al piano. Era diversa rispetto alle sue canzoni d’amore. La ascolto almeno una volta al giorno. Ma non guardo il Festival di Sanremo da 10 anni, è diventato un palcoscenico per dire la propria, un grande show politico. I giovani di oggi cantano Patty Pravo e Battisti, gli artisti attuali non li canterà nessuno".

malattia

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Poi il capitolo più delicato. Quello della malattia: cancro al colon. Nela spiega. Non si sottrae. Quasi si confessa. Non nasconde alcunché. E sottolinea di essere stato fortunato: "Noi calciatori viviamo di obiettivi, una partita dopo l’altra. Con la malattia ho fatto così. Passavo cinque ore in bagno tutte le notti con i dolori di stomaco dopo la chemio. Mi sono detto: 'Cerchiamo di stare in bagno quattro ore. Poi tre e mezzo, poi tre'. Ha funzionato. L’unica cosa che mi porto dietro è questa stupidaggine della gente che mi dice: 'Non c’erano dubbi che con quel fisico ne venissi fuori'. E allora tutti i colleghi che ho perso? Vincenzo D’Amico, Paolo Rossi, Sinisa Mihajlovic, Gianluca Vialli. L’unica differenza tra me e loro è che io sono stato più fortunato". Sebino racconta anche il rapporto con la famiglia in quel periodo: "Una notte ho trovato mia moglie e le figlie che piangevano, ho detto: 'Basta, siete voi che dovete aiutare me'. Dentro casa la situazione è cambiata. Ho perso mio padre per questa malattia, suo fratello. Ho perso mia sorella, la persona che stimavo di più al mondo: si è lasciata morire dopo otto anni di cure. L’altra mia sorella convive da 14 anni con il cancro. Una famiglia falcidiata dai tumori: non ce lo meritavamo. A me in quel periodo spiaceva farmi vedere pallido. Ora cerco di essere sempre abbronzato".

Tra presente e futuro

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 Dal suo calcio al calcio attuale passando per i progetti futuri, Nela chiude così: "Mi piacerebbe parlare con un Maori in Nuova Zelanda. Ma sto bene anche facendo una passeggiata al mare, sul litorale laziale. Mi piace leggere di politica e geopolitica. Gioco a scacchi. Lo scudetto? Il Napoli ha tutto per riconfermarsi, l’Inter è la squadra che gioca meglio, il Milan può essere la mina vagante. La Roma? Arrivare nelle prime quattro sarebbe un risultato straordinario. L’inizio è convincente, vediamo anche il cammino delle altre. Gasperini richiede tempo".

La Gazzetta dello Sport

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