Nel cuore del capoluogo campano un centro sociale è diventato laboratorio di sport e di vita. Cento bambini sono stati tolti dalla strada e in strada sono tornati, ma per giocare a pallone
Marco Ciriello
12 luglio - 17:28 - MILANO
Alcune squadre di calcio sono uno stato d'animo, altre solo il nome di un posto, altre ancora i titoli che vincono, qualcuna è lo stile; lo Spartak San Gennaro, invece, è una scuola di tutte le cose. Perché è un'idea nomade che si arricchisce per strada. La grande energia sta su un campo nel cuore di Napoli che le ondate di turisti non vedono, che il Comune non aiuta, ma, nonostante tutto, resiste. Giocare a calcio senza pagare, trovare regole e libertà che spesso la scuola non sa dare, inseguire l'emozione senza limiti e dimenticarsi l'indolenza che, come diceva Jorge Bernardo Griffa, maestro di pallone in Argentina, è il nemico dell'evoluzione. Tutto si mescola nello Spartak San Gennaro: ceto, sesso, credo, rivalità di territorio e famiglia, geografia e storia, quello che conta è il dribbling, la squadra, il divertimento, in una sovversione che nasce da una protesta sulle scale di una chiesa da parte di un gruppo di bambini, si annoda a una donna, Stefania Sessa, che a differenza di un parroco ottuso capisce che se giocano non delinquono, che se giocano c'è meno tempo per l'indolenza e soprattutto se giocano poi sognano. La capacità di Stefania incontra uno dei bambini che non aveva giocato nel passato, Luigi Volpe per tutti Chicco, e che da adulto aveva capito che cosa si era perso. Il resto l'ha fatto il carcere minorile Filangieri, quello dove Chicco era stato uno degli ultimi rinchiusi prima della cessazione, e che anni dopo è stato occupato per farci lo Scugnizzo Liberato, un centro sociale. I bambini che protestavano sulle scale della Chiesa degli Oblati - con uno strappo - potevano avere un campo e anche una squadra che metteva insieme Spartaco, l'Unione Sovietica e San Gennaro.
rumore e speranza
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Partiti in venti nel 2017 ora sono più di cento e non solo fanno calcio, rumore e speranza, ma dicono a tutti gli altri che non sono soli, dove tutti gli altri sono anche i ragazzini palestinesi di Gaza, perché lo Spartak è gemellato con l'Al Haddaf Team, una squadra di bambini di Beit Lahia, nel nord della Striscia. Dove Chicco consumava la sua ora d'aria, è nata, gioca e si allena una squadra di libertà con una istanza sociale fortissima. Il talento ha bisogno di un luogo che gli permetta di mettere in mostra le virtù e nascondere i difetti. Lo Spartak San Gennaro è la fiducia che mancava a molti ragazzini, che apre le teste e i polmoni, scioglie le gambe e fa scartare di lato senza cadere. Il pallone corre, loro si divertono e intanto costruiscono un futuro. Il calcio è fatto di esseri umani che giocano e trovano risposte come scrive Jonathan Franzen in "Libertà": "Una volta che quei sentimenti ti erano stati inculcati in profondità [...] conoscevi la Risposta alla Domanda, la Risposta era la Squadra, e ogni insignificante preoccupazione personale veniva messa da parte". Questo accade al campo del Parco Ventaglieri, nel quartiere Montesanto, dove lo Spartak si è spostato, un campo che sembra scavato in un vulcano, sta al centro tra una parete di tufo, una di alberi e due di case. Gli allenamenti sono un incrocio tra "La compagnia dei celestini" di Stefano Benni e "L'area 18" di Roberto Fontanarrosa, ogni faccia una storia, ogni storia un romanzo. C'è una squadra che a dispetto delle altre non si fa pagare, una scuola calcio senza retta che partecipa ai campionati di tre categorie - Pulcini, Esordienti e Giovanissimi - della provincia di Napoli, e che si allena sul cemento perché un vero campo non ce l'ha. Come racconta Alessandro Ventura (43 anni) insegnante al mattino e allenatore dal pomeriggio al tramonto, zemaniano convinto anche senza poter far fare i gradoni ai bambini: "Ho incontrato Luigi Volpe, dirigente della nostra squadra, che mi parlò di un progetto di scuola calcio gratuita, nato da pochi mesi. Accettai subito. Mi piaceva l'idea di poter realizzare un progetto calcistico che avesse al centro i ragazzi a rischio, quelli lasciati ai margini". Ma allenarsi sul cemento, facendo i turni, col tempo diventa sempre più complicato. "L'anno scorso abbiamo partecipato a un bando per l'utilizzo di un campo nel quartiere Capodimonte. Siamo risultati tra i vincitori, ma non pensavamo di dover pagare 12mila euro all'anno. Se il sindaco e la sua giunta approvassero l'esenzione per una no-profit come noi, avremmo risolto quasi tutti i problemi". Alessandro, Sasà per i bambini, disegna con pragmatismo quello che serve, perché tutti parlano dello Spartak, ma pochi li aiutano concretamente. Per farcela basterebbe avere la determinazione del capitano della squadra, Alessandra Cacchione, quasi 12 anni e 26 gol in questa stagione, coda di cavallo, bionda, occhi da Miyazaki e un destro che inchioda i portieri, legge De Amicis mischiando le trame, mostra i suoi gol migliori, che conserva sul telefonino, il suo idolo è Dries Mertens. È stata presa dal Napoli femminile. Massiccia, incazzata, pronta. L'altra calciatrice è più esile, Lilia Tomas (11 anni), tratti da orientale, da poco arrivata, "più che segnare mi piace dribblare per far segnare gli altri", ma si vede che ha cominciato da poco, ama David Neres, ma gioca da terzino.
sogni e idoli
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Anche la terza calciatrice gioca in difesa, da centrale, Giovanna Esposito (10 anni), ha come idolo Lionel Messi: "Quando dribblo sono felice, mi sento come lui, tiro le punizioni, ma da grande voglio diventare dentista o avvocato". Pure Vittorio De Stengo (11 anni) ama Messi e Batman in una crasi tra supereroi, gioca con i pantaloncini dei Lakers e la maglia del Napoli, il caos è la sua specialità: "Il mio piano A è fare il calciatore, quello B pugile, il C non posso dirlo". Invece, Francesco Mazzocchi (12 anni), biondo, "terzino sia a destra che a sinistra", Ronaldo il portoghese come idolo, ha un solo piano: "Vincere, voglio vincere, giocare e vincere". E lo dice con un sorriso che fiacca la sua determinazione. Nessuno dei bambini nominerà un idolo calcistico italiano, il loro rapporto con la Nazionale è quello che hanno gli americani con i satelliti russi dispersi nello spazio, e l'unico allenatore oltre Sasà, s’intende, che accetterebbero è Antonio Conte. Hanno il dribbling come religione e sembrano davvero dei cristiani sotto l'impero romano, visto che in Serie A i dribblomaniaci italiani si contano su una mano sola. Il Napoli è il loro orizzonte, sia come sogno calcistico che come tifo, anche se poi per molti l'esempio è Messi, solo Yamal ne insidia la leadership. Vengono da famiglie povere o borghesi, ma sono tutti uguali entrando nel campo che porta il nome di Mohammed Al Sultan, allenatore dell'Al Haddaf, e di suo fratello Ba-haa, calciatore, uccisi dai bombardamenti israeliani su Gaza, che hanno avuto un funerale napoletano proprio sul campo Ventaglieri, sommerso da mille papaveri rossi come il Piero della guerra cantato da De André. Ma il racconto viene interrotto dall'attaccante Dario Romano (10 anni) che ci tiene a far sapere "mi sono rotto il braccio e per questo ho giocato solo tre partite, ma ho segnato due gol". Gabriele Zaccone (13 anni), difensore, piede sinistro, "chiamatemi Zac, scelgo Yamal di mentalità, no, non viene nessuno di famiglia a vedermi, ma è meglio, perché quando gioco a pallone è come quando bacio una ragazza". Romantico, deciso, silenzioso, pulito negli interventi. L'altro yamalista è Ettore Errico (8 anni), cerotto sull'arcata sopraccigliare sinistra, maglia rossa, sguardo da corsaro, un amore per i dribbling e Mané Garrincha "perché mio padre mi ha fatto vedere un documentario, ah, conosco anche Pelé, guarda che cinque minuti fa ho preso una traversa", suo fratello Ernesto (11 anni), preferisce Nico Williams. Insieme sembrano i "Fratelli Finezza" di Benni. L'entusiasmo dei ragazzi dello Spartak San Gennaro è senza fine, si alternano tra campo e panchina, parole e pallone, sembra di essere nel cratere del vulcano, nel campo di Bombasí, inventato da Fontanarrosa, manca solo Best Hama Seller che dice: "Godiamoci questi momenti, che ci resteranno nella memoria, quando in futuro ci ritroveremo per rivivere tutto questo".