Mortalità per scompenso cardiaco: come sono cambiati i numeri in 30 anni

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Uno studio che ha coinvolto diversi cardiologi in Italia ha mostrato significativi cambiamenti nella vita dei pazienti

Riccardo Cristilli

14 giugno - 17:20 - MILANO

Negli ultimi 30 anni la percentuale di morti in Italia per scompenso cardiaco si è praticamente dimezzata. Aldo Maggioni, direttore Centro Studi Anmco, ha presentato questa buona notizia al recente congresso di cardiologia che si è svolto a Rimini. “Quando nel 1995 iniziammo a raccogliere dati nei pazienti era più del doppio, oggi il tasso di mortalità per scompenso cardiaco è il 5%”.

i dati dello scompenso cardiaco

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Lo scompenso cardiaco è l'incapacità del cuore di pompare sangue in quantità adeguata alla richiesta del corpo, si tratta di una sindrome che affligge circa il 2% della popolazione con circa 200 mila casi ogni anno. Le percentuali più alte si registrano sopra gli 80 anni, ma lo scompenso cardiaco è la principale causa di ricovero per le persone con un'età superiore ai 65 anni, oltre che essere la prima causa di morte per patologie cardiovascolari. I dati emersi dal recente congresso evidenziano come negli ultimi anni si è lavorato per migliorare la salute dei pazienti affetti da questo problema riuscendo a ridurne la mortalità.

lo studio

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Il dottor Maggioni ha presentato i risultati dello studio Bring-Up 3 Scompenso, sottolineando come l'utilizzo esteso di farmaci efficaci su pazienti affetti da questa problematica, è la principale causa della riduzione del tasso di mortalità per scompenso cardiaco. Oltre ai farmaci è cambiata anche la gestione generale di questi pazienti. I dati migliori sono stati registrati in quei pazienti che hanno mostrato un miglioramento della funzione contrattile del ventricolo sinistro, il cui tasso di mortalità a un anno dalla diagnosi è solo dell'1.9%. Un dato considerato migliorabile è quello sulla re-ospedalizzazione, infatti al momento 1 paziente su 5 necessita di un ulteriore ricovero nel primo anno.

l'evoluzione

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Circa 5 mila pazienti hanno preso parte alla prima fase dello studio, ha spiegato il dottor Maggioni, attualmente la platea dei centri cardiologici coinvolti è stata ulteriormente ampliata con la possibilità di avere i dati di altri 4500 pazienti in tutta Italia, avendo così una fotografia ancor più ampia delle condizioni dei pazienti in diverse realtà. All'interno del progetto Bring-Up Prevenzione, che ha coinvolto 189 centri, sono stati studiati i dati di 4790 pazienti reduci da un infarto miocardico e/o rivascolarizzazione coronarica. Solo il 33% di loro aveva livelli di colesterolo LDL (quello considerato “cattivo”) definibile sotto controllo cioè, secondo le linee guida internazionali è inferiore a 55mg/dL. Sei mesi dopo dall'avvio del monitoraggio la percentuale è salita al 58% dopo un anno al 62%. Questo vuol dire che le terapie affidate ai pazienti sia farmacologiche che i cambiamenti apportati nello stile di vita dei pazienti sono fondamentali per raggiungere l'obiettivo di una riduzione del rischio di mortalità per scompenso cardiaco.

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