Metal Gear Solid Snake Eater, la recensione: il remake di un capolavoro, ma serviva davvero?

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Uno dei capitoli cult della serie di Kojima torna e per certi versi fa scuola ancora oggi per tante cose. 

Paolo Sirio

27 agosto - 15:31 - MILANO

Da decenni, il nome di Metal Gear Solid è sinonimo di innovazione, stealth, narrazioni complesse. Dopo una lunga assenza e una separazione burrascosa tra Hideo Kojima e l’editore Konami, i fan attendevano con una certa ansia il ritorno della serie a metà tra complottismo e vaticini azzeccati. Con un’eredità simile sul groppone, Metal Gear Solid Delta: Snake Eater non è solo un remake: è un omaggio ad uno dei capitoli più amati e significativi della saga, una scommessa e, soprattutto, una dichiarazione d’intenti. Sarà riuscito a colmare il vuoto lasciato dal leggendario Kojima e a riproporre la magia dell’originale per una nuova generazione, mantenendo l'integrità dell'opera? La risposta, come spesso accade per questa serie, è pure lei complessa e stratificata.

Un remake 1:1, “not for honor, but for you”

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Metal Gear Solid Delta: Snake Eater si presenta esattamente come ce lo ricordavamo, o meglio, con la stessa veste grafica che gli cucivamo addosso pensando che la PlayStation 2 fosse il non plus ultra del fotorealismo. L’approccio di Konami e dello sviluppatore Virtuos, specializzato in rimasterizzazioni, è stato estremamente cauto. E ha ragione: dopo la separazione con il creatore del franchise consumatasi nel 2015, ogni modifica sostanziale all'opera originale sarebbe stata vista come un affronto, una "lesa maestà" nei confronti del regista giapponese. Per questo motivo, a differenza di altri remake che hanno stravolto o espanso la narrazione, non ci sono scene aggiuntive o estensioni a livello di gameplay. Il gioco è lo stesso, arricchito da un ammodernamento grafico che, pur non essendo il più riuscito in assoluto e mantenendo un rapporto quasi 1:1, compie il suo dovere. Anche perché non apparivano già in partenza necessarie rivoluzioni in stile Silent Hill 2, dove mancava un’inquadratura dietro le spalle, e non ce ne sono state. Un tocco di classe non scontato lo coglierete nei titoli di testa ispirati a 007, dove i nomi dei membri del team classico sono rimasti al loro posto, con la dicitura “original” a precedere i vari ruoli. La ri-registrazione dell’iconico tema musicale è un tocco aggiuntivo, un omaggio alla legacy della musica nei videogiochi firmati da Kojima, dove ha sempre avuto un ruolo cruciale.

Il gameplay all’avanguardia di SNAKE EATER

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A livello tecnico, il gioco offre la scelta tra 30 e 60 fps. Su PS5 base, lo stacco è piuttosto netto: a 60 fps la risoluzione cala sensibilmente, rendendo l’immagine sgranata su pannelli di grandi dimensioni, senza nemmeno la garanzia di una scorrevolezza costante. A 30 fps, invece, il gioco risulta troppo “scattoso”, compromettendo l’intera esperienza. Le animazioni sono un mix di croce e delizia, proprio come nell'originale del 2004. La fluidità con cui Snake si sdraia sul terreno, o il modo in cui spara steso su un fianco ed a pancia in su, è incredibile ancora oggi. Di contro, l’azione può risultare a tratti macchinosa e imprecisa negli spostamenti, causando qualche frustrazione per chi non è abituato a comprenderne il "meta-funzionamento" interno. A parte i ritocchi marginali alle modalità secondarie, che culmineranno nella modalità multiplayer Fox Hunt in autunno, il pacchetto single-player resta valido e, per certi versi, fa ancora scuola nel 2025: la rigiocabilità, poggiando sulla solida componente arcade della serie, è elevatissima.

un racconto-capolavoro senza tempo

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Sul gioco in sé, c'è poco da aggiungere. Fa strano pensare che dietro un’opera così densa di contenuti si celi la stessa mano di Death Stranding e del suo sequel, dove Kojima sembra aver cercato di allontanarsi dall'eredità di MGS, optando per boss fight meno personali o addirittura assenti. In Delta, ogni scontro con un boss è un piccolo capolavoro, con segreti da scoprire e modi alternativi per superarli. Ogni personaggio ha un carattere unico e una motivazione ben definita. La storia, ambientata sullo sfondo della Guerra Fredda, è ancora oggi incredibilmente rilevante, specialmente in un momento di tensioni geopolitiche internazionali. Sebbene non sia il nostro Metal Gear preferito, il modo in cui crea e rappresenta la cornice narrativa dei primi due capitoli della saga, portando in scena vicende che avevamo solo letto, immaginato o provato sull’MSX datato 1987, è una sontuosa lezione di storytelling. L'approccio narrativo radicale, con le sue lunghe cutscene, potrebbe però risultare ostico oggi. E non nascondiamo di essere curiosi dell’accoglienza riservatagli da una generazione TikTok abituata a ritmi assai più serrati, se per qualche oscura coincidenza dovesse venire a contatto con un prodotto simile.

Metal Gear Solid Delta, ne avevamo davvero bisogno?

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In conclusione, la domanda è legittima: avevamo bisogno di questo remake? Considerando che Snake Eater era già stato oggetto di un remaster, potrebbe sembrare ovvio rispondere negativamente. Ma Metal Gear, inteso come franchise, ne aveva disperatamente bisogno per riprendere il filo di un dialogo con i suoi fan storici e, lo spera senza dubbio Konami, con i nuovi giocatori. La scelta di partire dal terzo capitolo, cronologicamente il primo della saga 3D, era quasi obbligata ma, per proseguire, un Peace Walker libero dalle limitazioni delle console portatili, innalzato contenutisticamente al livello degli episodi principali, non ci spiacerebbe proprio.

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