Medici di famiglia, vecchio studio addio: i nuovi assunti dentro le Case di comunità

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La riforma

Non saranno più “liberi professionisti” che siglano una convenzione in base alla quale tenere aperti gli ambulatori per alcune ore al giorno

di Marzio Bartoloni

7 gennaio 2025

Un medico di base compila una ricetta nel suo studio a Roma, 30 ottobre 2020. ANSA / ETTORE FERRARI

3' di lettura

I nuovi medici di famiglia saranno assunti direttamente dal Servizio sanitario nazionale per lavorare sul territorio dove saranno assegnati dai distretti prioritariamente alle oltre 1400 Case di Comunità che apriranno in tutta Italia entro metà del prossimo anno grazie ai fondi del Pnrr. I giovani dottori che decideranno dopo la nuova specializzazione universitaria in cure primarie di diventare medici di famiglia non saranno più infatti come oggi dei “liberi professionisti” che siglano una convenzione con il Ssn in base alla quale tenere aperti i loro ambulatori per alcune ore al giorno gestendo un determinato numero di pazienti (1500 al massimo che con le deroghe arrivano in media a 1800) in modo autonomo e spesso troppo isolato, ma saranno dei veri e propri dipendenti assunti con orari e contratti nazionali.

Dove lavoreranno i nuovi medici di famiglia

I nuovi medici di famiglia lavoreranno appunto nelle Case di comunità, negli ospedali di comunità, nelle Cot (le Centrali operative territoriali) e nei distretti in team con gli altri colleghi. Insomma in quella Sanità territoriale su cui il Pnrr investe oltre 7 miliardi e che dovrebbe avvicinare finalmente le cure a casa dei cittadini evitando così che ingolfino ospedali e pronto soccorso. A parte i neo-assunti tutti gli altri medici di famiglia - oggi ridotti a poco più di 37mila - potranno scegliere di restare “convenzionati”, ma dovranno comunque mettere a disposizione un certo numero di ore a settimana (almeno 14-16 ore) per il distretto: magari per fare delle vaccinazioni, delle visite a casa dei pazienti o fare attività nelle Case di comunità.

Una riforma a cui lavorano le Regioni e il ministro Schillaci

È questo il nucleo della rivoluzione a cui sta lavorando il ministero della Salute con la stretta collaborazione di un gruppo di Regioni - in particolare Friuli, Veneto, Emilia Romagna e Lazio che hanno lavorato a una prima bozza appena chiusa - per arrivare a una riforma di cui è sempre più convinto il ministro Orazio Schillaci che poco prima di Natale aveva ribadito come immagina il futuro dei medici di famiglia: «La soluzione sta nel lavoro in team, all'interno delle Case di comunità e nella necessità di ripensare questa professione che deve essere al passo con i tempi e con i cambiamenti». La riforma, non una semplice norma come era stata immaginata dall'ex ministro della Salute Roberto Speranza alla vigila della caduta del Governo Draghi, dovrebbe concretizzarsi in un vero e proprio articolato di legge che potrebbe prendere, se sarà necessario, anche la forma di un decreto.

L'intelligenza artificiale nello studio del medico di famiglia

Cambia anche la formazione e poi la doppia opzione

La bozza è gia alla valutazione tecnica anche perché l'intervento impatterà su tutta l'architrave normativa che regge il Ssn e cioè la legge 502 del 1992 e le sue revisioni. L'obiettivo è quello di ripensare tutto il percorso di accesso alla medicina generale, compresa la formazione specialistica post laurea che diventerà di rango universitario (oggi è regionale). Per i nuovi dottori di famiglia, come detto, il destino sembra quello unico della dipendenza - come chiedono ormai da tempo in coro tutte le Regioni - mentre per gli altri medici di famiglia che decideranno di restare nei loro ambulatori - ci sarà la possibilità di fare una opzione - si valuta un impegno in base al carico di assistiti, ma assicurando un numero minimo di ore (14-16 a settimane) a disposizione del distretto sanitario.

Case di comunità e il rischio cattedrali nel deserto

Del resto Il tempo stringe: tra un anno e mezzo se tutto va bene apriranno 1420 Case di comunità per far decollare finalmente la Sanità territoriale, ma le nuove strutture rischiano di diventare delle «cattedrali nel deserto» come ha sottolineato lo stesso Schillaci. Secondo l'ultimo monitoraggio dell'Agenas aggiornato a giugno 2024 finora ne sono attive soltanto 413 concentrate in 11 Regioni e con il grave handicap che dentro c'è poco personale sanitario che ci lavora, in un quarto addirittura zero medici. In pratica spesso sono delle scatole vuote. Il monitoraggio mostra infatti come il vulnus più grande sia la presenza ancora molto limitata di personale medico: in ben 120 Case di comunità delle 413 attive non è prevista neanche l'attività di medici di assistenza primaria e in 137 non ci sono pediatri. Soltanto in 175 Case di comunità la presenza di medici è prevista tra 50 e 60 ore a settimana e in 141 quella dei pediatri.

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