Longevità, la felicità si può "allenare" e allunga la vita: ecco come

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Le persone felici vivono più a lungo. Per questo è importante coltivare gentilezza, empatia, ottimismo e gratitudine

Giacomo Martiradonna

2 giugno - 15:00 - MILANO

Per molti è un concetto banale, un traguardo scontato, più facile a dirsi che a farsi: la felicità è spesso percepita come una condizione impalpabile, figlia del caso o della fortuna. Oggi tuttavia la scienza invita a considerarla sotto una nuova luce: non un privilegio, ma un'attitudine, una forma della mente. Coltivabile, dunque allenabile, educabile. Un’attitudine che incide profondamente sulla qualità della vita e che contribuisce anche alla sua durata. Diversi studi lo confermano: esiste una correlazione significativa tra la capacità di provare felicità e una maggiore longevità.

Secondo gli esperti, la felicità non è solo un sentimento passeggero ma una sorta di fattore di protezione, capace di influire sul benessere psico-fisico e contrastare persino l’insorgenza di alcune patologie. In questo senso, imparare a essere felici – e insegnarlo per quanto possibile ai più giovani – non è un lusso, ma un investimento sul futuro.

Longevità e felicità

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La felicità è anche una questione di neurotrasmettitori. Quando si sperimenta una sensazione di benessere autentico, l’organismo attiva circuiti neurochimici complessi, che coinvolgono sostanze come dopamina, ossitocina e vasopressina. Mediatori che non solo modulano l’umore, ma hanno effetti diretti sul sistema immunitario, potenziandolo, e sull’intero sistema nervoso, che ne risulta protetto e rafforzato. La produzione di questi composti agisce anche come un antinfiammatorio naturale, poiché innalza la soglia del dolore e promuove una condizione generale di equilibrio psico-fisico. E uno degli elementi chiave che contribuiscono all’attivazione di questi circuiti, spiegano gli esperti, è la gratitudine: chi riesce ad esercitarla quotidianamente tende ad avere livelli più stabili di benessere, minore reattività allo stress e una maggiore resilienza emotiva.

L’amore, chiave della Longevità

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La chiave sta nella qualità delle relazioni affettive. Lo dimostra uno studio longitudinale condotto da Harvard, il più esteso nella storia della psicologia, iniziato nel 1938 e tuttora in corso. I dati raccolti nel tempo hanno chiarito che, contrariamente al comune sentire, non sono né la carriera né il reddito, né tantomeno la fama, a determinare il benessere duraturo, bensì la presenza di legami significativi, di relazioni basate sull’affetto, la fiducia e il sostegno reciproco. L’amore, inteso in senso ampio – dal partner alla famiglia, agli amici – è l’elemento più predittivo di felicità e longevità. Amare ed essere amati protegge dalla solitudine e fornisce un potente antidoto contro ansia, depressione e declino cognitivo.

insegnare e coltivare la felicità

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Se la felicità può essere appresa, diventa fondamentale trasmettere fin dall’infanzia le competenze necessarie per favorirla. L’educazione all’ottimismo, allo sviluppo dell’intelligenza emotiva e alla gestione delle emozioni – positive e negative – rappresenta quindi il fondamento di un equilibrio duraturo. In tal senso, ribadiscono gli esperti, i genitori svolgono un ruolo determinante: non tanto come educatori ("fa' ciò che dico"), ma come modelli ("guarda ciò che faccio"). Mostrare coerenza emotiva, promuovere l’autonomia e incoraggiare l’espressione autentica dei sentimenti aiuta i bambini a sviluppare una maggiore consapevolezza di sé e una visione positiva del mondo.

Insegnare la felicità però non significa negare fatica o dolore, che pure sono componenti molto tangibili della realtà; ma offrire strumenti per affrontarli con fiducia e apertura. Perché anche le ferite più profonde, quelle che non guariscono mai, in qualche modo possono coesistere con una vita vissuta pienamente. Ci sono dolori che non trovano spiegazione, che lasciano un segno permanente, una frattura silenziosa nella nostra esperienza del mondo; avvenimenti senza poesia, senza pace. Strappi crudeli e immeritati. Ed è difficile certe volte dire a se stessi "sii felice" o "sii grato". Ma proprio da quella consapevolezza – non ci sono garanzie, nulla è scontato – nasce una forma diversa di gratitudine, più concreta, più ruvida, dolceamara. E dunque più autentica.

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