Leao, il riscatto non c'è: esce dopo un'ora e il Milan vince la partita. Poi diserta la festa finale

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Dopo l'esclusione con l'Udinese, doveva essere la sua notte. E invece Rafa ha concesso solo qualche fiammata. Fonseca l'ha tolto dopo un'ora e lui è corso subito negli spogliatoi al 90'

Marco Pasotto

Giornalista

22 ottobre - 21:56 - MILANO

La “normalizzazione” di Leao messa in atto da Fonseca, se mai riuscirà a realizzarsi, sarà lunga e faticosa. Il concetto del tecnico è chiaro, ormai l’ha già ripetuto diverse volte: deve diventare normale pensare di gestire giocatori come Rafa allo stesso modo degli altri compagni. O quasi, insomma. “Da Theo e Leao mi aspetto ciò che mi aspetto da tutti gli altri”, raccontava ancora il tecnico in vigilia, nell’evidente tentativo di far passare il messaggio forte e chiaro: nel mio gruppo non c’è spazio per i vip, ma per gente che mette davanti a se stessi il bene della collettività. A che punto siamo? Insomma, potrebbe andare meglio. Rafa, con Theo, era uno dei riabilitati di lusso dopo l’esclusione con l’Udinese. Un’esclusione totale: nemmeno un minuto, sebbene nel secondo tempo un suo ingresso potesse avere assolutamente senso. Fonseca ha spiegato che il suo connazionale non era in perfette condizioni fisiche, ma l’ha fatto senza molta convinzione. L’obiettivo della panchina di sabato scorso era – anche – chiarire determinate dinamiche sulla gestione dello spogliatoio da parte dell’allenatore. Non sappiamo se alla lunga avrà ragione Fonseca e Leao farà un salto di qualità mentale. Ma sappiamo che, fino a questo momento, il percorso appare impervio. 

STRAPOTERE E INERZIA

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Basta andare a rivedersi questa partita col Bruges. Una di quelle serate in cui Leao è stato… Leao. Un paio di sgommate feroci delle sue, entrando nel cuore della difesa belga come una lama nel burro caldo. E una buona dose di ciondolamento: coperture rivedibili, mezzo passo in meno piuttosto che mezzo in più, fastidio plateale - è successo spesso - quando dettava la profondità e i compagni non lo servivano. La sua è stata una partita come tante, alternando il suo strapotere devastante all’inerzia più irritante. E così dopo un’ora di gioco, e dopo aver osservato l’assurdità di un pareggio incassato in superiorità numerica, Fonseca ha detto basta. Fuori Rafa, dentro Okafor. Sarà banale, sarà impietoso, sarà magari superficiale, ma è un dato di fatto: quando è uscito Leao, il Milan è cambiato. Lo racconta perfettamente l’azione del due a uno, scritta magnificamente da Okafor che in trenta secondi ha servito la palla del vantaggio a Reijnders. E qui, come se non bastasse l’evidente differenza di resa, Rafa ha fatto il resto e non è stato uno spettacolo edificante: uscito dal lato opposto alla panchina, per raggiungerla stava circumnavigando il campo quando Reijnders l’ha buttata dentro. Leao era a non più di dieci metri dalla porta, ha alzato un secondo le braccia al cielo, le ha tirate giù e ha proseguito la sua camminata lenta immerso nei suoi pensieri e nel suo sconforto. 

malumore

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Emerson Royal gli è andato incontro, ha provato a scrollarlo, senza risultato. Con la coda dell’occhio - mai guardando direttamente - il portoghese ha osservato la festa dei compagni a cui non ha partecipato nemmeno con un sorriso, fin quando è andato a sedersi in panchina. Altri due flash completano l’opera: lo sguardo rimasto buio e gonfio di malumore quando le telecamere lo hanno inquadrato dopo il terzo gol di Reijnders, e la decisione di infilarsi subito nel tunnel degli spogliatoi quando è arrivato il fischio finale. Questa è la cartolina attuale, ed è qualcosa che scotta. Da un lato un allenatore che vuole “democratizzare” la rosa, eliminando o comunque annacquando il concetto di giocatori al di sopra del gruppo. Dall’altro quella che era e resta indiscutibilmente la stella della squadra, che nella normalità probabilmente non si raccapezzerà mai.

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