pugilato
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L’ex campione di boxe racconta una vita piena di alti e bassi: "Ho avuto tanto e perso tutto. Solo col mio cane, la vita da asceta mi è servita. Prego cinque volte al giorno e cerco pace"
Francesco Ceniti
4 febbraio - 10:59 - MILANO
Che anni quegli anni con gli italiani in piazza per festeggiare il trionfo inaspettato del Mondiale di calcio e uniti dal tifo per un pugile di passaporto maliano. Che anni quegli anni con l’esultanza del presidente della Repubblica nel cielo di Madrid e la pipa tenuta stretta nella mani. E siccome erano anni particolari, di ritorno al Quirinale, tra una crisi di governo e l’altra, quello stesso presidente trovò il modo di risolvere una telenovela burocratica con una telefonata nella trasmissione condotta da Gianni Minà. "La Rocca, sono Pertini. Mi ascolti: venga da me appena può, le consegneremo la carta d’identità". Era il 1983. Nino La Rocca, l’Ali italiano, sul ring danzava, colpiva e vinceva. Dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta incontri. La sfida al titolo mondiale sembrava il normale approdo di una favola. E invece niente lieto fine: la prima sconfitta per un taglio dopo una testata, un matrimonio sbagliato, il sogno iridato che sfuma, la carriera deragliata. Seguono stagioni anonime, il conto in banca in rosso, il rischio di finire molto male… Ma il vecchio leone si è ribellato a un destino già scritto, ribaltando il verdetto.