La stima e il rispetto istituzionale per il presidente della Repubblica sono 'immutati', ma se un consigliere 'si permette di fare tali affermazioni in pubblico, non può ricoprire quel posto: è stato inopportuno'. A sentire diverse ricostruzioni, questo è stato in sintesi il passaggio cruciale del discorso di Giorgia Meloni nel colloquio con Sergio Mattarella al Quirinale. Non a caso, mentre in serata dai due fronti si cerca di definire il caso 'chiuso', nel centrodestra molti ragionano sul fatto che sarà interessante vedere come si muoverà il capo dello Stato nelle prossime settimane. Tutti gli occhi saranno puntati su Francesco Saverio Garofani. Ma il suo ruolo non è mai stato in discussione al Colle.
Un altro motivo per cui appare troppo ottimistico considerare la questione definitivamente archiviata. La durata dei colloqui spesso è indice del loro esito. Venti minuti, quando si cerca un chiarimento su uno scontro istituzionale come non se ne vedevano da tempo, sembrano pochi per poter dire che è andata nel migliore dei modi possibili. C'è chi parla di tregua, definizione che di certo non può piacere a chi come il capo dello Stato predica da sempre l'equilibrio dei poteri. La sensazione diffusa nell'arco parlamentare è che si sia di fatto aperto un braccio di ferro, nel contesto di un caso giornalistico dai contorni non del tutto chiari.Non sono chiare ad esempio le circostanze in cui sono state carpite le parole di Garofani: c'è chi dice un mese fa in un circolo sportivo romano, chi sostiene senza dubbi che sia stato in un locale di piazza Navona una settimana fa. C'è mistero anche sulla fonte dell'articolo, per cui La Verità ieri ha usato uno pseudonimo. Senza contare che quel testo era stato inviato domenica nel primo pomeriggio ad almeno tre quotidiani, tra cui il Giornale, da un tale 'Mario Rossi'.
Una circostanza che ha aumentato i sospetti. Tra le opposizioni circolano quelli di una campagna mediatica per gettare ombre sull'imparzialità del Quirinale, dove fra meno di quattro anni il centrodestra potrebbe per la prima volta avere la possibilità di eleggere un presidente della Repubblica della propria area: secondo Matteo Renzi, è 'il palazzo' a cui punta la premier. Si dibatte anche sul tempismo dello 'scoop' de La Verità, pubblicato all'indomani del Consiglio supremo di difesa. Fonti qualificate escludono qualsiasi collegamento. Ma viene anche raccontato che nella riunione di tre ore di lunedì sera non sono mancati momenti delicati. Si parla di richiami particolarmente duri di Mattarella sugli aiuti all'Ucraina, accompagnati dall'esortazione di non condizionare il sostegno a Kiev in base a calcoli legati alle campagne elettorali e ai rapporti tra alleati. Un'invasione di campo, agli occhi dei meloniani. La politica estera è gestita dal governo e non dal Quirinale, si ragiona ai piani alti del governo, ricordando che l'Italia non è ancora una Repubblica presidenziale.
Nella maggioranza c'è chi scommette che quel giorno Meloni già sapesse cosa bolliva nella pentola delle redazioni di giornali di area centrodestra, con la ricostruzione dei dialoghi di Garofani che per la premier, raccontano i suoi, sono 'inaccettabili parole in libertà' per chi ricopre il ruolo di consigliere del presidente della Repubblica. Per il Pd, si ragiona in ambienti del partito di Elly Schlein, 'stupisce' invece come un governo che fonda la sua narrazione sulla stabilità tenda a 'creare fortissima fibrillazione istituzionale, tra attacchi al Colle, magistratura, Corte dei conti, Rai...'. Non a caso, da quelle parti, nelle ultime ore si sentono citare insistentemente le parole del cardinale presidente della Cei, Matteo Zuppi, sulla necessità di 'qualcosa di più del fair play istituzionale'.
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