Il direttore di gara francese ha ricevuto il premio Campanati: "Questa attività mi ha aiutato anche nella vita... Le polemiche su Inter-Napoli: "C'è un protocollo e va osservato"
Giornalista
19 novembre - 11:34 - MILANO
François Letexier domenica a San Siro si è aggiudicato la sesta edizione del premio "Giulio Campanati" ed è stato eletto miglior arbitro dell'Europeo della scorsa estate in Germania. Ha ritirato il riconoscimento che è intitolato al "Presidentissimo", a capo dell'Aia dal 1972 al 1990. Lo abbiamo incontrato prima della cerimonia, in un hotel del centro, e ci ha raccontato le sue emozioni. Ne è venuta fuori una chiacchierata in cui il direttore di gara francese ha spiegato che cosa vuol dire per lui arbitrare, come ha iniziato e quello che prova quando il Var entra in azione. Paura di essere corretto? L'opposto... Per lui la tecnologia è un paracadute e gli permette di evitare le notti insonni che in passato ha trascorso ripensando agli sbagli commessi.
Letexier, qual è stata la prima sensazione quando le è stato comunicato che aveva vinto il premio Campanati?
"È stato un grande onore per tre ragioni: perché era una conseguenza di ciò che avevo fatto all'Europeo insieme al mio team, per l'importanza del premio e perché in passato questo riconoscimento è stato assegnato a grandi direttori di gara".
Da Collina a Rizzoli, passando per Rosetti, Rocchi e Orsato: l'Italia è una terra di grandi arbitri. Qualcuno dei nostri fischietti l'ha ispirata nel corso della sua carriera?
"Sono sincero, non c'è un arbitro in particolare al quale mi ispiravo. Noi direttori di gara guardiamo le partite con occhi speciali, non come tifosi: ci concentriamo sull'arbitro, sulla sua posizione, su come sta vicino all'azione e sul suo linguaggio. La mia fonte di ispirazioni quando ero piccolo sono stati tutti i grandi direttori di gara della Champions League".
Il giovane Letexier è stato anche un giocatore di calcio?
"Sì, per 4-5 anni ho giocato, poi...".
Poi che cosa è successo?
"A 14 anni mi si è presentata l'occasione di iniziare ad arbitrare. È una cosa che mi è subito piaciuta".
Qual è stata la prima reazione dei suoi genitori?
"Mi hanno incoraggiato. Quando ho spiegato loro che avevo l'occasione di provare ad arbitrare, mi hanno detto di provare e mi hanno sostenuto invitandomi a dare il meglio. Pensavo che avrei cambiato di nuovo dopo un anno e invece, dopo venti, eccomi qua... ancora con il fischietto".
Ci sono mai stati momenti difficili nei quali ha pensato di smettere di arbitrare?
"Il primo anno ci sono andato vicino perché io per natura ero timido e non molto estroverso. Il primo anno è stato difficile e la decisione che stavo per prendere non era frutto del comportamento degli altri, ma del mio carattere: lottavo contro me stesso ed è stato difficile. Poi però ho trovato la forza per continuare affrontando i momenti difficili: è così che diventi più forte. Arbitrare mi ha fatto crescere come uomo".
In che senso?
"Un arbitro in campo deve prende, in pochi istanti, decisioni non semplici. Per la vita di tutti i giorni questo è un... allenamento importante, che ti fa crescere. In più arbitrare mi ha aiutato a relazionarmi con gli adulti: quando avevo 14, 15 o 16 anni dovevo avere rapporti con gli allenatori, non farmi condizionare dal pubblico e soprattutto far rispettare il regolamento. Tutto questo ti dà forza, coraggio e fiducia in te stesso perché nella vita solo arbitrando hai la possibilità, a quell'età, di prendere decisioni nei confronti degli adulti".
Quando ha iniziato qual era il suo obiettivo?
"Prima di tutto quando fai l'arbitro, sei uno sportivo perché un direttore di gara durante un incontro corre 12-13 chilometri. Devi essere in forma per riuscirci. Il mio obiettivo era migliorare partita dopo partita e cercare di arrivare più in alto possibile. Avevo dei sogni e ho fatto di tutto per raggiungerli".
Essere premiato a San Siro, alla Scala del calcio, è una soddisfazione in più?
"Qui ero già stato la scorsa Champions per Inter-Salisburgo: è uno stadio molto bello".
In Italia, ma non solo, il Var è nel mirino dei critici. Da arbitro lei che cosa ne pensa?
"Per noi è uno strumento utile. Filosoficamente non ha cambiato il nostro modo di arbitrare perché noi anche prima dell'introduzione del Var facevamo sempre il massimo per dirigere bene un incontro e per prendere le giuste decisioni, ma se commettevamo un errore in campo, quello rimaneva. Sapete quante brutte notti ho passato ripensando alle decisioni sbagliate che avevo preso? Adesso tutta la categoria degli arbitri sa di avere alle spalle... un paracadute d'oro che può correggere episodi non valutati nel modo giusto. È tutto diverso rispetto a prima".
Essere corretti dal video dunque non è un problema?
"Preferisco che il punteggio finale non sia influenzato negativamente da un mio errore piuttosto che sbagliare".
Però neppure il Var è perfetto: in Italia infuriano le polemiche e nell'ultima giornata l'Udinese ha protestato per un rigore non concesso a Bergamo e il Napoli per un rigore contro (contatto tra Anguissa e Dumfries, ndr).
"Le statistiche dicono che il Var corregge il 75-80% degli errori ovvero 8 decisioni su 10 vengono trasformate da sbagliate in corrette. Senza il Var gli errori erano più frequenti. Paradossalmente però, la tolleranza delle persone era più alta prima rispetto ad adesso. Anzi, ora la tolleranza è troppo bassa, quasi zero, perché si pensa che il Var possa eliminare del tutto gli errori. Purtroppo non è possibile".
Perché?
"Il calcio non è uno sport da 'bianco o nero' e un margine di interpretazione ci sarà sempre perché c'è un'area grigia del regolamento che è lasciata all'interpretazione dell'arbitro che è in campo. Un penalty per un contatto in area non è considerato uguale da tutti e se il contatto c'è, tocca al direttore di gara valutare l'intensità. Il Var non può decidere: il protocollo dice questo. Il calcio non è una scienza esatta: è uno sport giocato e arbitrato da esseri umani che reagiscono a delle situazioni e hanno delle emozioni. Altrimenti è giusto pensare a un calcio giocato da robot, arbitrato da robot e visto da robot in tribuna. Se è quello che le persone vogliono, ok. Io però non la penso così".
In Italia al termine di ogni giornata Rocchi o un suo uomo di fiducia spiega in diretta a Dazn gli episodi più controversi della giornata. È un buon modo per "educare" la gente?
"Non ho mai visto la trasmissione e non posso esprimermi a riguardo. Anche in Francia però la mentalità è aperta e l'input è quello di comunicare con la gente il più possibile per spiegare e far sì che il regolamento sia capito. Insegnare le regole è il miglior modo per far accettare le nostre decisioni".
È favorevole alle conferenze stampa post partita degli arbitri?
"Difficile dare un linea comune a tutti i Paesi europei perché ognuno ha la sua cultura ed è impossibile dire se è giusto che gli arbitri parlino oppure no. In Francia, per esempio, noi arbitri possiamo andare davanti ai media dopo la fine della gara per spiegare le nostre decisioni. Ci deve essere una richiesta da parte dei giornalisti al comitato degli arbitri e poi io, come direttore di gara, posso dire sì o no all'incontro con la stampa".
Lei lo ha fatto?
"Certo. Sono andato avanti ai media e ho spiegato i fatti, perché ho preso quella decisione. Le considerazioni sono solo tecniche. Naturalmente quando sono stato chiamato è perché il mio fischio era considerato sbagliato, non perché... secondo i media. Quando ho avuto la possibilità di parlare a fine partita, l'ho sempre fatto per spiegare i fatti, non per convincere qualcuno che ero dalla parte della ragione".
Da arbitro le è mai successo di uscire dal campo e dire... 'ho fatto una gara perfetta'?
"La partita perfetta non esiste. Se mi chiede di un match che però ricordo ancora adesso, dico la finale dell'ultimo Europeo: a livello emozionale dirigerla è stato allo stesso tempo bellissimo e difficilissimo".
In Italia per l'episodio di Inter-Napoli ci sono state tante polemiche perché non tutti capiscono quando il Var può intervenire in caso di contatti che sembrano lievi ma vengono puniti con il calcio di rigore.
"Nel protocollo c'è un'area grigie che lascia l'interpretazione degli episodi all'arbitro, ma il protocollo è lo stesso in tutta Europa e viene applicato nel medesimo modo. Il Var può intervenire in caso di chiaro ed evidente errore: è quello che dice il protocollo e noi arbitri lo rispettiamo. Nelle situazioni in cui il Var non considera la decisione presa dal direttore di gara un chiaro ed evidente errore, la decisione presa sul campo è confermata. Applicare il protocollo è l'unico modo per avere lo stesso modo di arbitrare in tutti i Paesi, senza farsi condizionare dal campionato, dal nome delle squadre, dei giocatori, da quanta gente c'è in uno stadio...".
È favorevole al challenge, il Var a chiamata dalle panchine?
"Ho letto gli articoli che dicevano che sarebbero stati aumentati i test sul Var a chiamata nelle gare delle categorie inferiori. Credo che il 'challenge' non sia un sostituto del Var e, anche se non ho mai visto mettere in pratica questa opzione del challenge, reputo giusta qualsiasi innovazione aiuti a eliminare degli errori in campo".