L'editto e i diritti, quando i Berlusconi sparigliano

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   Quando parla un Berlusconi, difficilmente non ci sono effetti. È successo per quasi trent'anni nelle vicende della politica italiana (ma anche in quelle calcistiche e televisive) con Silvio Berlusconi, ed è una costante anche con i suoi figli, Marina e Pier Silvio in primis, quelli su cui più volte si è scommesso fossero pronti a seguire le orme del padre.

    Nella storia del Cavaliere rappresenta un capitolo cruciale il cosiddetto "editto bulgaro": 18 aprile 2002, l'allora premier, in visita ufficiale a Sofia, in una conferenza stampa parla di "uso criminoso" della tv pubblica, chiarendo che la nuova Rai deve fare a meno di Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi. E i loro programmi, uno dopo l'altro, saltano.

    Un'incursione simile a quella di due anni prima, che ha portato alle dimissioni di Dino Zoff da ct della Nazionale di calcio, accusato da Berlusconi (allora deputato, leader di FI e presidente del Milan) di essere stato "indegno" nella finale degli Europei, e di essersi "comportato come l'ultimo dei dilettanti". Da Carlo Ancelotti a Filippo Inzaghi, non pochi allenatori rossoneri hanno vissuto la graticola dei commenti del patron rossonero e nel 2014 l'addio di Massimiliano Allegri fu accelerato dalle critiche di sua figlia Barbara, allora amministratore delegato del club.

    Tra le similitudini fra squadra e partito, la gestione decisamente aziendalista. Con il presidente/leader che ha sempre l'ultima parola, sin da quando nel dicembre 1993 sparigliò la Prima Repubblica bevendo "l'amaro calice della politica". Ha avuto l'ultima parola anche sui suoi delfini, bocciati uno dopo l'altro. Il 22 aprile 2010 il duro alterco con Gianfranco Fini davanti alla Direzione nazionale del Pdl: "Se vuoi fare politica, dimettiti da presidente della Camera", a cui segue la celebre risposta "Che fai mi cacci?". Burrascoso, nel 2013, anche l'epilogo del rapporto con Angelino Alfano ("è senza quid"), inserito da Berlusconi fra i suoi "carnefici", nella disfida fra falchi e colombe rispetto al governo di larghe intese con il Pd, partito pronto a votare per la decadenza dell'ex premier da senatore. Gli archivi di quel periodo restituiscono anche le parole dette qualche mese prima da una Giorgia Meloni allora solo capogruppo di FdI e scettica sulle "organizzazioni dinastiche": "Le leadership non si possono imporre per nomina o editto".

    In quella fase si rincorrono le voci su una discesa in campo di Marina Berlusconi. Che negli anni sono tornate ciclicamente, ora sulla primogenita, ora sul fratello Pier Silvio, mentre la famiglia continua a sostenere finanziariamente il partito (100mila euro a testa nel 2025 dai cinque figli e dal fratello Paolo), garantendone anche i debiti da circa 90 milioni come faceva il padre prima della scomparsa nel 2023. Così ogni loro uscita pubblica viene letta in controluce nel partito. È successo dopo gli affondi della primogenita dell'ex premier sull'idea del governo di tassare gli extraprofitti delle banche, o più di recente per il suo incontro con Mario Draghi o per i timori espressi sulla strategia di Donald Trump, con l'auspicio che "non rottami l'Occidente". O come quando, un anno fa, sui diritti civili, in particolare su "aborto, fine vita o diritti Lgbtq", ha spiegato di sentirsi "più in sintonia con la sinistra di buon senso". Oggi come allora le parole di un Berlusconi arrivano da Milano e producono fibrillazioni a Roma.

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