
intervista
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L'ex stellina dell'Atalanta di Gasperini poi passata al Milan e la sequela di infortuni che l'ha portato alla decisione: "Gasp il migliore, ti massacra in allenamento ma poi i frutti si vedono. Da Pioli al Milan l'ultimo schiaffo, quando stavo bene era come se non mi vedesse..."
Lorenzo Cascini
18 aprile - 13:25 - MILANO
Appena si apre la videochiamata, di Andrea Conti ti colpiscono gli occhi. Tristi, come se avessero perso vitalità. Spenti, tanto che sembrano essersi arresi anche loro. “Non c’è niente di più brutto di quando ti rendi conto che è finita. Ma accettarlo diventa l’unico modo per andare avanti”. Resterà un grande what if. Andrea per anni ha vissuto un calvario, una lotta continua con quel ginocchio che piano piano è diventato incubo e tormento. “Non c’è un giorno della mia vita in cui non ci pensi. Mi viene in mente in ogni istante, influenza ogni mio movimento, anche il più banale”. Il 2017 è l’anno in cui realizza sogni in serie: i gol con l’Atalanta in A con Gasperini, il trasferimento al Milan, l’esordio a San Siro, la nazionale maggiore e un futro che sembrava designarlo come uno dei grandi talenti del calcio italiano. Fino alla rottura del crociato a settembre, dopo una manciata di partite in rossonero. L’inizio della fine. Quel legamento che ha fatto crack due volte nel giro di nove mesi, diventando l’avversario più tosto da affrontare e allo stesso tempo il suo nemico più grande. Come fosse un attaccante che ti scappa via in dribbling e tu non puoi farci nulla, se non prendere atto del fatto che sia più veloce. E iniziare a rincorrere. Conti le ultime otto stagioni le ha passate così, trascinato dalla paura di farsi male di nuovo, bloccato, frenato dal pensiero di non tornare più a sentirsi calciatore. Fino a quando, a 31 anni, dopo una stagione da svincolato, ha scelto di dire basta. Partiamo proprio da qui.