"I dirigenti che parlano a fine partita...". Conte ha cambiato idea, prima si arrabbiava quando tacevano

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“Non mi piace che ogni volta debba venire io a metterci la faccia", diceva Antonio nel 2019 dopo la partita di Dortmund in Champions all'Inter

Filippo Conticello

Giornalista

26 ottobre - 10:00 - MILANO

Ma Antonio Conte vuole o non vuole che i dirigenti intervengano tatticamente nel dopopartita per difendere e/o accusare, incendiare e/o spegnere, focalizzare e/o depistare e, in ogni caso, indirizzare il racconto di una gara? Il tecnico, oggi al Napoli e ieri all’Inter, li ha sempre considerati davvero dei fastidiosi “papà” che si intromettono in affaracci non loro e che delegittimano la figura dell’allenatore, come detto ieri? Oppure, quando le cose lo riguardano personalmente, pretende sempre un intervento “alto” in supporto, un parafulmine societario che aiuti il lavoro del tecnico? Il dubbio, quasi filosofico, verrebbe nel vedere i dardi infuocati lanciati ieri dallo stadio Maradona all’accampamento della sua ex squadra e nel rileggere alcune vecchie dichiarazioni contiane completamente opposte. Alcune pronunciate proprio durante il suo tormentato biennio interista e rivolte allo stesso Beppe Marotta, il presidente (un tempo ad) oggetto dell’accusa. Che sia una legittima evoluzione del pensiero o semplicemente una strategia da usare nella lotta scudetto, il pensiero dei suoi ex tifosi è andato al Conte interista nella notte di Dortmund, quello che faceva il diavolo a quattro perché i dirigenti nerazzurri, gli stessi di oggi, prendessero un microfono in mano nel dopopartita. 

quella notte a dortmund

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Era la quarta giornata del girone di Champions League 2019-20, prima stagione di Antonio interista, quella poi funestata dal covid. All’intervallo, i nerazzurri conducevano 2-0 sul Borussia, poi nella ripresa arrivò la rimonta tedesca (nacque allora l’infatuazione per Hakimi) che fu vissuta da Conte come un segnale d’allarme strutturale: “Siamo arrivati al limite, non si può fare miracoli...”, tuonò. E, poi, la parte strategica: “Non voglio alibi, ma non mi piace che ogni volta debba venire io a metterci la faccia. Qualcuno della società dovrebbe venire qui a parlare ogni tanto”. Conte non si lamentava solo della partita in sé, ma di un mercato incompleto (l’Inter aveva preso Lukaku e Barella, tra gli altri…), di una rosa corta e, soprattutto, della comunicazione interna. Insomma, il tecnico si sentiva solo a difendere la squadra e chiedeva che i dirigenti parlassero pubblicamente nei momenti difficili. In pratica, l’esatto contrario di ieri. 

 col parma

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A differenza di Napoli, allora non era coinvolto l’arbitro, ma scavando sempre negli anni interisti si trovano dichiarazioni assai differenti a quelle del Maradona anche quando di mezzo c’è qualche fischio poco gradito. Il filo della memoria si riallaccia al 31 ottobre 2020, subito Inter–Parma 2-2 a San Siro, serata di rimpianti nerazzurri per un rigore negato a Perisic. Quella volta, sì, con intervento marottiano in difesa di Conte e della squadra: "Sulla nostra prestazione non ci sono alibi, non è stata una buona partita ma di quello ne parlerà Conte. Oggi però ci manca un rigore nettissimo, l'errore è stato palese. Intervengo per denunciare il vuoto normativo e regolamentare sul Var, che interviene solo in caso di chiaro errore dell'arbitro”. A ruota, il tecnico sembrò apprezzare: "Il rigore su Perisic? Ha parlato il club, è giusto che parlino i dirigenti se hanno qualcosa da dire. Io analizzo la partita…". Ora gli interisti bacchettano il Conte smemorato, ma in fondo sanno che è solo un pirandelliano gioco delle parti: la lotta scudetto è senza quartiere, riguarda campo, parole e pure memoria.

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