In Italia si vive sempre più a lungo, ma dopo i 60 anni la qualità della vita cala drasticamente. Ecco perché la prevenzione deve diventare una priorità
Daniele Particelli
20 ottobre - 19:01 - MILANO
Viviamo a lungo, ma non sempre raggiungiamo la cosiddetta terza età in forma. I dati più recenti diffusi dall'Istat ci dicono che, con un’aspettativa di vita media di 83,4 anni, i cittadini italiano sono ai vertici mondiali per longevità. La lunga vita degli italiani, però, non coincide con un altrettanto lungo periodo in buona salute. E anche in questo caso è l'Istituto nazionale di statistica a metterlo nero su bianco: la vita sana termina in media a 60 anni per gli uomini e a 57 per le donne: da quel momento in poi aumentano i disturbi cronici, la fragilità e la perdita di autonomia.
Gli italiani sono tra i più longevi al mondo
—
Tradotto in numeri, quasi 6,4 milioni di over 65 hanno difficoltà nella cura personale o nelle attività domestiche quotidiane e 3,8 milioni presentano una riduzione dell’autonomia. I dati diffusi da Istat, pronti a mettere in luce un divario crescente tra longevità e qualità della vita, sono stati al centro dell’incontro "Investing for Healthy Ageing", promosso da MSD a Roma con la partecipazione di istituzioni, medici, economisti e società scientifiche.
Vivere a lungo non basta: serve vivere bene
—
"L’Italia è tra i Paesi più longevi al mondo, ma questo primato nasconde una realtà preoccupante: gli ultimi anni di vita sono spesso vissuti in cattiva salute", ha spiegato spiega Michele Conversano, presidente di Happy Ageing. "Non basta vivere a lungo, bisogna vivere bene. Per invertire il trend servono azioni concrete e una strategia di longevità sana che parta ben prima della vecchiaia".
Al centro del dibattito c'è la necessità di ripensare la prevenzione come vero e proprio investimento sociale, non più come semplice voce di spesa. L'invecchiamento attivo e la prevenzione delle malattie evitabili, sottolineano gli esperti, sono le chiavi per alleggerire la pressione su un sistema sanitario già messo alla prova dall'aumento della popolazione anziana: oggi il 24,7% degli italiani ha più di 65 anni, e nel 2043 la quota salirà al 34%.
Vaccinazioni, la prevenzione che può allungare la vita in salute
—
Uno dei punti più critici riguarda le coperture vaccinali della popolazione adulta e anziana. A fronte di un obiettivo minimo del 75% per la vaccinazione antinfluenzale, la copertura reale è ferma al 52,5% tra gli anziani e al 19,6% nella popolazione generale. Ancora più carenti sono le vaccinazioni anti-pneumococcica e anti-herpes zoster, per le quali mancano dati nazionali aggiornati ma le rilevazioni regionali indicano percentuali molto basse.
"Le patologie causate da pneumococco rappresentano una minaccia significativa per la salute pubblica, soprattutto tra adulti e anziani, dove il rischio di complicanze gravi è elevato”, ha spiegato Giancarlo Icardi, professore di Igiene all’Università di Genova: "Nuovi vaccini garantiscono oggi una protezione più ampia e specifica verso i ceppi emergenti. È essenziale garantire quanto prima l’accesso a queste soluzioni innovative”.
Cosa di può fare? Gli esperti lo dicono senza mezzi termini: la prevenzione deve diventare investimento strategico, un pilastro delle politiche sanitarie con fondi dedicati e continuità negli investimenti. Per questo le società scientifiche e le istituzioni hanno chiesto al Governo italiano di incrementare di almeno un punto percentuale il fondo per la prevenzione rispetto all’attuale 5%, riconoscendo immunizzazioni e screening come investimenti strategici, non come spese correnti.
"La vaccinazione rappresenta non solo una misura di tutela della salute individuale e collettiva, ma anche un investimento con un chiaro ritorno economico per il sistema sanitario", ha osservato Enrico Di Rosa, presidente della Società Italiana di Igiene e Medicina Preventiva (Siti). Non solo: anche l'invecchiamento deve essere considerato un risorsa: "Diventa prioritario trasformare l’invecchiamento in una risorsa, valorizzando il contributo degli anziani alla società e promuovendo un approccio integrato tra salute, lavoro e inclusione sociale”, parola di Roberta Crialesi, dirigente dell'Istat.