Fingere emozioni al lavoro fa male alla salute mentale

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Uno studio rivela come dover recitare sentimenti non autentici influisca negativamente sulla salute mentale e peggiori anche le performance lavorative

Eugenio Spagnuolo

31 marzo - 08:05 - MILANO

Sorrisi forzati, entusiasmo simulato, interesse solo apparente. Nel mondo del lavoro fingere è spesso un requisito essenziale. Ma la continua recitazione potrebbe avere i suoi costi nascosti: secondo uno studio, indossare una maschera emotiva ogni giorno finisce per influenzare la salute mentale di chi lavora e anche l'azienda ci rimette...

Lo studio pubblicato su Industrial Marketing Management ha osservato ciò che avviene nel settore delle vendite, per esaminare il fenomeno del lavoro emotivo e le sue conseguenze. Tra i venditori, dove il rifiuto è frequente, la pressione a ottenere risultati genera forte stress. Non a caso, secondo un report del 2024 oltre il 70% dei professionisti delle vendite soffre di problemi di salute mentale. "Volevamo comprendere i vari fattori che minacciano la salute mentale dei lavoratori e portano al burnout", spiega Khashayar Afshar Bakeshloo dell'Università del Mississippi (USA). "Uno di questi fattori è proprio il cosiddetto lavoro emotivo".

fingere sul lavoro: lo studio

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I ricercatori hanno individuato due approcci alla finzione: il surface acting, dove si mostrano emozioni non sentite, e il deep acting, che implica lo sforzo di generare internamente uno stato d'animo, per sembrare più sinceri. "Ma forzare le emozioni per soddisfare le richieste del lavoro può portare a esaurimento, insoddisfazione e reazioni negative da parte dei clienti (che spesso se ne accorgono)", sottolinea il coautore dello studio Omar Itani della Lebanese American University. "Invece la soddisfazione lavorativa è essenziale per il benessere, E questo imporrebbe che all'interno di un'azienda esistessero strutture di supporto in tal senso".

Del resto avere dipendenti insoddisfatti è controproducente per la stessa azienda: "I venditori sono preziosi", ribatte Afshar. "Portano soldi all'organizzazione. Quindi, se perdono un'opportunità, significa meno entrate. Il che però ci dice che quando un venditore va in burnout, non è solo una perdita per lui, ma per l'azienda". 

La soluzione è nel dialogo

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Dunque che fare? Secondo i ricercatori la soluzione è allineare i valori personali alle aspettative lavorative. In modo da gestire il carico emotivo in modo più sereno. Non tutti sono grandi venditori: lo sforzo di fingersi altro da sé non è detto che ripaghi. E chi ricopre un ruolo che prevede una continua finzione non dovrebbe trascurare la propria salute mentale (per esempio con sedute di psicoterapia). Guai poi a tenersi tutto dentro: "La comunicazione è la chiave", precisa lo studioso. "Quando i lavoratori possono comunicare i loro problemi, non li affrontano da soli. E se si sentono fiduciosi a parlarne con capi e  colleghi, potranno rimuovere parte del peso emotivo che sono costretti a sopportare".

E chi proprio non riesce a fingere dovrebbe smetere di farlo: "Ci sono due entità in gioco qui: il nostro sé individuale e il nostro sé professionale", conclude Afshar. "Per evitare il burnout, meglio cercare lavori in cui ciò che siamo coincide con ciò che il ruolo ci chiede di essere".

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