Un piccolo tassello dell'estinzione dei Neanderthal potrebbe risiedere anche nelle gravidanze a rischio portate avanti dalle donne "ibride", cioè nate dall'amore tra uomini o donne della nostra specie e partner appartenenti a questo arcaico e vicino gruppo umano. Nelle donne con patrimonio genetico misto era infatti forse più elevato il rischio di un'incompatibilità genetica con il nascituro, che rendeva più complesse le gravidanze e aumentava le probabilità di aborti spontanei. È l'ipotesi sollevata in uno studio postato su biorXiv.
Incroci e scomparsa
Homo sapiens e Neanderthal si incontrarono ripetutamente dando vita a una generazione ibrida tra i 50.000 e i 45.000 anni fa, e i Neanderthal si estinsero definitivamente attorno a 41.000 anni fa. Tracce di DNA Neanderthal restano nel DNA dell'uomo moderno di discendenza non africana, e costituiscono complessivamente l'1-2 per cento della totalità del genoma. Non se ne trovano invece nel DNA mitocondriale, cioè quello trasmesso lungo l'asse materno.
Che cosa ostacolava il passaggio di geni Neanderthal dalle madri ai nascituri? L'ipotesi di Patrick Eppenberger e dei colleghi dell'Istituto di Medicina Evolutiva dell'Università di Zurigo (Svizzera) è che le donne nate da genitori in parte sapiens e in parte Neanderthal avessero gravidanze a più alto rischio, per via di un problema di incompatibilità tra i loro geni e quelli del feto.
Un problema nel trasporto di ossigeno
Gli scienziati hanno identificato questa incompatibilità in un gene importante per il trasporto di ossigeno nel sangue, chiamato PIEZO1 e presente in varianti diverse nel DNA di Homo sapiens e Neanderthal. Dopo aver modellato le possibili interazioni tra le due varianti e simulato in laboratorio l'effetto di quella Neanderthal sui globuli rossi umani, il team ha concluso che la variante Neanderthal (V1) faceva sì che i globuli rossi si legassero all'ossigeno con maggiore intensità rispetto alla variante presente nel DNA dei sapiens, (V2). V1 risulta dominante: chi eredita sia V1 sia V2 avrà globuli rossi con questa alta affinità chimica per l'ossigeno.
Un feto nato dall'unione tra un sapiens e una Neanderthal, o viceversa, si sarebbe sviluppato senza problemi. Le difficoltà sarebbero nate con la generazione successiva: una madre ibrida con entrambe le versioni del gene PIEZO1, con in grembo un feto con due copie di V2 si sarebbe ritrovata con una maggiore affinità per l'ossigeno dei suoi globuli rossi, e avrebbe consegnato meno sangue al nascituro attraverso la placenta. Un meccanismo che avrebbe comportato un maggiore rischio di aborti.
«In millenni di coesistenza, persino livelli di bassi di questo contributo genetico dell'uomo moderno nelle popolazioni Neanderthal avrebbero potuto introdurre un graduale svantaggio riproduttivo, aumentato nel corso delle generazioni», scrivono gli autori. Lo stesso fenomeno non sarebbe stato un problema per l'Homo sapiens, che aveva una popolazione molto più stabile ed estesa, già avvantaggiata sotto molti punti di vista.
Un contributo ridotto
Alcune mutazioni nel gene PIEZO1 non derivate dal DNA Neanderthal potrebbero avere un effetto simile ancora oggi e spiegare alcuni casi di aborti precoci. Comunque, per quanto affascinante sia la teoria di un'incongruenza genetica che crea effetti a catena in una popolazione già fragile, è probabile che il suo contributo al declino dei Neanderthal sia stato ridotto, una piccola parte di una serie di altre pressioni genetiche, sociali ed ecologiche.











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