Di risvegli improbabili e messaggi sbagliati

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La storia che da qualche giorno rimbalza su alcuni organi di stampa sembra avere tutte le carte in regola per suscitare una facile indignazione. Un uomo andato in arresto cardiaco in seguito a un'overdose, e dichiarato in stato di morte cerebrale in un ospedale del Kentucky, si sarebbe risvegliato in sala operatoria durante le procedure per l'espianto dei suoi organi, dei quali aveva autorizzato la donazione. Sulla vicenda che vede protagonista Anthony Thomas Hoover è stata aperta un'inchiesta sia statale sia federale.

Dettagli fumosi. Molti i contorni poco limpidi di questa storia, che avrebbe, se non fosse per i (pur vaghi) risvolti giuridici, i contorni tipici di una bufala. Tanto per cominciare, il fatto risale all'ottobre 2021, ma è stato ripreso solo ora da (pochi) organi di stampa statunitensi, l'emittente televisiva locale WKYT e la National Public Radio, NPR.

Pochi giorni fa, dopo tre anni dall'accaduto, la sorella dell'uomo, Donna Rhorer, avrebbe raccontato a queste testate che Hoover era stato portato al Baptist Health Hospital in arresto cardiaco, dove sarebbe stato dichiarato cerebralmente morto per assenza di riflessi e di attività cerebrale e staccato dalle macchine di supporto vitale.

La donna ha raccontato che mentre l'uomo veniva portato in sala operatoria avrebbe notato che i suoi occhi si aprivano e apparentemente si muovevano, in quello che però i medici avrebbero definito un semplice e comune "riflesso". Dopo un'ora in sala operatoria e prima che iniziasse l'operazione, il medico incaricato dell'espianto degli organi sarebbe uscito per comunicare che il paziente «non era pronto» perché «si era risvegliato».

La procedura sarebbe stata a quel punto interrotta e il paziente dimesso (un altro dettaglio per lo meno strano) e portato a casa, dove Donna Rhorer lo avrebbe accudito per gli ultimi tre anni. Hoover sarebbe ancora vivo anche se avrebbe difficoltà a ricordare, parlare e camminare.

Testimonianze indirette. A gennaio 2024 un'ex dipendente dell'associazione Baptist e Kentucky Organ Donor Affiliates (Koda) che aveva seguito il caso del paziente, avrebbe contattato Donna Rhorer prima di inviare una lettera a un comitato del Congresso per denunciare la vicenda.

La donna, che non avrebbe comunque partecipato direttamente all'intervento di Hoover, avrebbe raccontato di aver appreso, mentre rivedeva le note mediche sul paziente, che Hoover avrebbe mostrato "segni di vita" anche durante una procedura precedente l'operazione, volta ad accertare se il suo cuore era adatto a diventare un organo da donare.

Un'altra donna addetta alla cura degli organi espiantati avrebbe riferito di aver visto Hoover "piangere e dimenarsi" sul tavolo operatorio.

Un effetto deleterio. La vicenda che ha, appunto, contorni ancora poco definiti, ha riscosso una forte eco mediatica destinata - anche se il fatto si rivelasse per lo meno gonfiato, o mal comunicato - ad avere un impatto fortemente negativo sulle donazioni di organi, così dipendenti dalle scelte personali e dunque dall'opinione pubblica.

Una scelta che fa la differenza. In Italia sono circa 8.000 i pazienti in attesa di un trapianto (soprattutto di rene, 5.819; fegato, 984; cuore, 719; polmone, 263, pancreas, 179; intestino, 6. Dati aggiornati al 21 ottobre 2024). Ogni anno circa 4.000 nuovi pazienti entrano nella lista, i cui tempi d'attesa restano lunghissimi: 3,5 anni per un cuore, più di 6 per un pancreas.

Anche se nel 2023 il numero delle donazioni è cresciuto, superando per la prima volta le 2.000 e permettendo la realizzazione di quasi 4.500 trapianti (oltre il 15% in più che 2022), siamo ancora lontani da coprire, con il numero degli organi disponibili, l'urgenza e la necessità di chi è in attesa di un organo per avere salva la vita.

Per queste ragioni è necessario aumentare la platea dei potenziali donatori: delle persone, cioè, che acconsentano alla donazione degli organi dopo la morte, una scelta che basterebbe indicare con un "sì" al momento del rinnovo della carta di identità (ma ci sono anche altre modalità per chi non deve rinnovare il documento nell'immediato, vedi).

Purtroppo, ancora oggi, un terzo dei cittadini italiani che dichiara le proprie volontà in materia si dice contrario al prelievo dei propri organi dopo la morte, spesso per scarsità di informazioni a riguardo.

La tutela del donatore in Italia. Un caso come la presunta vicenda avvenuta (forse) nel Kentucky sarebbe ipotizzabile in Italia? «No. Il nostro Paese adotta una delle leggi più garantiste al mondo che si basa sulla completa indipendenza tra l'accertamento di morte e l'eventuale donazione di organi», spiega Giuseppe Feltrin, Direttore Generale del Centro Nazionale Trapianti.

«Insomma, l'accertamento di morte deve essere eseguito a prescindere dalla possibilità o volontà della persona di donare gli organi. C'è poi un'altra importante tutela per i cittadini: il medico che diagnostica la condizione clinica di morte non è lo stesso che l'accerterà in seguito. È addirittura un'équipe multidisciplinare di medici che dovrà verificare per 6 ore alcuni parametri specifici previsti dalla legge.

Se anche solo uno di questi parametri dovesse subire una modifica o alterazione, si interrompe l'accertamento di morte. Ricordiamo che lo stato di morte non deve essere confuso con il coma o gli stati vegetativi (che invece riguardano pazienti, che seppur in gravi condizioni, non sono deceduti)».

L'impressione degli esperti di trapianti è che, nella vicenda statunitense, il paziente sia stato sottoposto a controlli per le procedure di trapianto, comunque non sfociati in un intervento, prima che ne venisse accertata la morte cerebrale (vedi la differenza tra coma, stato vegetativo e morte cerebrale). Tanto è vero che un caso come quello di cui si parla in queste ore, nel nostro Paese, non si è mai verificato in trent'anni, da quando cioè vige la legge sulla dichiarazione di morte cerebrale. E parliamo di decine di migliaia di donatori di organi.

Un rigido protocollo. La morte di un paziente, che sia o meno donatore, e «che coincide con la cessazione totale e irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo, viene certificata con:

1) criteri neurologici: per un periodo non inferiore alle 6 ore, si eseguono accurati accertamenti clinici e strumentali per stabilire la contemporanea presenza delle seguenti condizioni: stato di incoscienza, assenza di riflessi del tronco e di respiro spontaneo, silenzio elettrico cerebrale.

2) criteri cardiaci: si esegue un elettrocardiogramma protratto per un periodo non inferiore ai 20 minuti. Questo è considerato il tempo di anossia, trascorso il quale si considera vi è certamente una irreversibile perdita delle funzioni dell'encefalo e quindi la morte dell'individuo.

Solo in seguito all'accertamento di morte attraverso uno di questi criteri e nel caso in cui la persona abbia espresso il proprio consenso (o i familiari aventi diritto non si oppongono) si potrà procedere alla donazione di organi e tessuti». La morte cerebrale è una condizione definitiva, dalla quale non è possibile "risvegliarsi" - interessante, per chi volesse approfondire questi temi, la sezione del sito del Centro Nazionale Trapianti dedicata alle fake news.

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