Il brasiliano, doppio ex: "Vedo una chimica tra Tudor e i giocatori che prima non si vedeva, ma serve tempo e in una sfida dura come quella col Real può arrivare la svolta"
Danilo ha la Juventus nel cuore. È la cosa che emerge con maggior forza da questa chiacchierata andata in onda tra Madrid e la Barra, a Rio de Janeiro. La vita ha allontanato Danilo dalla Juve, e lui, professionista esemplare, sta dando anima e fisico al Flamengo: domenica è stato tra i migliori nel 3-2 al Palmeiras che ha permesso ai carioca l’aggancio in vetta. E ora c’è la semifinale col Racing di Avellaneda in Libertadores, una competizione che Danilo ha vinto, segnando il gol decisivo, nel 2011 col Santos di Neymar.
Non è in Brasile per il clima, il mare, la spiaggia…
Danilo ride: “No, no, assolutamente! Non pensavo di tornare in Brasile ma poi è successo quello che è successo e ho scelto il Flamengo per provare a vincere, non gioco a calcio solo per la gioia di farlo. Siamo lì sia in campionato che in Libertadores, dobbiamo fare un ultimo grande sforzo”.
Sono passati 9 mesi dal suo addio. Si guarda indietro e…
Silenzio. “Non ho rimpianti, fino all’ultimo giorno ho dato tutto ciò che avevo dentro: impegno, dedizione, la voglia di restare, l’amore per il club. Alla Juve ho imparato e dato tanto tanto tanto, è finita perché la vita è così, le cose succedono per un motivo che magari sul momento non è chiaro, ma tra qualche anno penso si capirà meglio”.
La Juventus si presenta al Bernabeu con 5 pareggi e la sconfitta a Como.
Danilo sospira. “In questi momenti serve compattezza, tutti si devono aiutare. Ora c'è la Champions, un’altra storia, e la sfida con il Madrid può essere un’opportunità. Nelle difficoltà la Juventus non molla mai. Io non sono dentro le dinamiche quotidiane e dare un’opinione sul momento sarebbe una mancanza di rispetto nei confronti del gruppo, dell'allenatore e del club. Da fuori però mi pare che rispetto a un anno fa lo spirito sia diverso, l’atteggiamento differente: c’è una chimica tra calciatori e Mister che prima non si vedeva. Poi è chiaro, contano i risultati. Quello del Bernabeu è un esame importantissimo, il Madrid chiaramente è in un momento molto più positivo, in testa alla Liga, 6 punti in Champions, ma se la Juve fa risultato, e lo può fare, può essere la partita che cambia la stagione”.
Tudor è sotto pressione.
“Ci vuole pazienza, hanno cambiato diversi uomini e il mercato è stato ritardato, cosa che ha condizionato la preparazione. Non sarà un anno facile per la Juve ma io ho fiducia in Tudor. Xabi Alonso ha un’idea di calcio moderna e differente e anche lui sta facendo fatica a trasmetterla ai suoi uomini, però ovviamente è molto più facile lavorare quando arrivano i risultati, sempre lì torniamo”.
A proposito di risultati, sorpreso dal Milan del suo amico Allegri?
“No. Il Mister lavora bene e ha dimostrato tante volte che lui certe situazioni le sa gestire al meglio. Poi vediamo sul lungo periodo, può succedere di tutto”.
E Modric? Sta strabiliando, a 40 anni. Positivo o negativo per la serie A?
“Positivo, avere Luka dà grande valore al campionato italiano, anche a 40 anni. I piedi sono gli stessi. Al Real Madrid è stato un compagno eccezionale, serio e simpatico, con una gran voglia di scherzare, lo sento ancora. Per un tifoso di calcio vedere Modric è speciale”.
Ci viene in mente Yildiz.
“E a me quando parlo di Kenan viene da sorridere. Già ai tempi di Allegri quando si muoveva tra prima squadra e Under 23 si allenava troppo bene, si vedeva che era di uno spessore diverso dagli altri. Tante volte dopo gli allenamenti mi fermavo con Max, ‘Questo è uno che diventerà veramente forte’ dicevamo. Piano piano si è ambientato, ha imparato ad essere più cattivo, a lottare e a non essere solo ‘bellino’ come diceva Max. Vedere Kenan con la 10 della Juve e ogni tanto con la fascia di capitano mi dà grande piacere, è un ragazzo veramente serio e con tanto talento, che lavora, è umile e può sicuramente rappresentare quello che è la Juve”.
La Serie A fatica a lanciare i giovani.
“Lo dicono i numeri, ma la cosa deve cambiare per forza: ci sono tanti ragazzi che devono andare all’estero perché in Italia non trovano spazio e invece bisogna approfittare del loro talento. Anche per una questione economica: non tutte le società hanno i soldi per comprare i campioni e allora bisogna puntare sui giovani. Bisogna cambiare per forza”.
Chi vince lo scudetto?
“Napoli e Inter sono ancora più avanti, con l’Inter in leggero vantaggio. Ha cambiato il tecnico ma ha mantenuto la base che ha vinto negli ultimi anni. Il Napoli ha Conte, fattore molto molto importante, il gruppo dello scudetto e buoni innesti, De Bruyne su tutti, un altro col quale ho giocato, che da brillantezza e numeri che magari mancavano. Detto questo mi auguro che la mia Juve possa trovare le chiavi per lottare fino alla fine”.
Le piace la nuova Champions?
“Non tanto, le dico la verità. Certo, offre più possibilità di restare vivi a lungo, è più democratica. Ma io sono ‘vecchia scuola’, e sinceramente l’anno scorso ho fatto fatica a capire come funzionava. Magari dopo tanti anni ci vogliono 2-3 stagioni di adattamento al nuovo formato”.
Da capitano della nazionale come ha visto l’arrivo di Ancelotti?
“Molto bene. Il Mister è un vincente, ed è arrivato nel momento giusto: ci voleva un punto di riferimento per togliere pressione ai giovani. Carlo è una guida importante e arriva pulito, non conosce l’ambiente e non si fa condizionare. E poi è sempre positivo, sdrammatizza, è entrato subito nei cuori dei brasiliani”.
Favorite per il Mondiale?
“Francia e Argentina”.
Non la Spagna?
“In questo momento no, ha meno gamba delle altre due”.
E il Brasile?
“Dopo il Mondiale in Qatar abbiamo avuto tanti problemi fuori dal campo che hanno influenzato risultati e performance, ma ho sempre detto che noi calciatori dobbiamo assumerci le nostre responsabilità, è evidente che dovevamo fare meglio. Ora però quello è il passato, l’esperienza ci è servita e guardiamo al Mondiale con ottimismo. Anche l’ultima volta che abbiano vinto, nel 2002, non eravamo favoriti, e so che per il Brasile c’è grande rispetto. Abbiamo calciatori importanti e la storia gioca a nostro favore. L’importante è arrivare bene, preparati, uniti. Poi se c’è una bella energia e scatta la magia… alla fine sono 8 partite”.
Sbagliamo dicendo che il calcio brasiliano non è un punto di riferimento rispetto a quando lei era giovane?
“La prima cosa da dire è che 20-25 anni fa si vinceva solo con la qualità dei calciatori e le cose sono cambiate completamente. Il calcio è diventato più fisico, tattico, professionale. Qui in Brasile abbiamo tardato a capirlo e così siamo rimasti indietro. Poi per recuperare abbiamo deciso di copiare il modello europeo stravolgendo il nostro modo di vedere e fare calcio. Va trovata una via di mezzo tra professionismo estremo e l’essenza del calcio brasiliano, che era un prodotto della strada, giocato dai bambini e dai ragazzi delle favelas”.
In strada non si gioca più.
“Ed è un problema. Il calcio è diventato un business e la cosa è incompatibile con la passione, il grande motore popolare. Mio figlio Joao ha 6 anni ed è in una scuola calcio: vogliono che i ragazzi mantengano la posizione, che giochino a due tocchi, ma così come si fa a sviluppare il talento? Bisogna lasciare che i bambini si divertano, lascino spazio alla propria fantasia, che improvvisino, che facciano finte e dribbling. Poi magari verso gli 11-12 anni inizi coi sistemi, ma prima devi fargli sviluppare l’immaginazione, non ingabbiarli in questo sistema tanto rigido”.
A proposito di ragazzi. Ha mai visto qualcuno come Lamine Yamal?
“Beh, io sono cresciuto con Neymar ed era così. Detto questo Lamine Yamal è una cosa impressionante. Ci ho giocato contro al Bernabeu l’anno scorso, non l’avevo mai visto da vicino e mi ha fatto più impressione che in tv. Però ci vuole pazienza. Quando questo ragazzo arriverà a 22-23 anni magari calerà un po’, avrà un anno o due di crisi. Sarà normale: da quando ha 16 anni gioca in prima squadra col Barcellona, con l’enorme pressione di far bene ed essere il migliore. Quante partite ha fatto negli ultimi 3 anni? E non è nemmeno sviluppato del tutto fisicamente, è un adolescente. Ripeto: al mondo del calcio chiedo pazienza per questo ragazzo”.
Il futuro di Danilo?
“Più in Europa che in Brasile. Voglio giocare ancora un paio d’anni, sto studiando giornalismo online e quando smetterò farò psicologia in presenza. Vorrei restare nel calcio ma mi piace troppo il campo, e l’unico modo per restare in campo è fare l’allenatore che è un mestiere super stressante. Per cui vedremo”.