La presidente del Cio, prima donna e prima africana: "L’Olimpiade diffusa è piena di fascino, la studieremo. L'Italia è un modello per il futuro"
Elisabetta Esposito e Arianna Ravelli
17 settembre 2025 (modifica alle 23:33) - MILANO
Tailleur azzurro, sneakers, una raucedine eredità del recente viaggio ai Mondiali di atletica a Tokyo, Kirsty Coventry, la nuova presidente del Cio, ex campionessa di nuoto (sette medaglie olimpiche, due d’oro), entra nella stanza dell’hotel milanese dove fa base in questi giorni portandosi dietro la sua rivoluzione: prima donna, e prima persona di origine africana (è dello Zimbabwe) a capo dello sport mondiale. Doveva essere l’erede dell’ex presidente Thomas Bach per un mandato all’insegna della continuità, ha in animo di cambiare molto di un movimento piuttosto restio all’innovazione se è vero che, dal 1894, ha avuto solo 10 leader alla guida (due in meno del Partito comunista cinese, per dire). In silenzio, senza proclami.
Presidente Coventry, ha realizzato cosa vuol dire guidare lo sport mondiale?
“È un onore, ma anche una grande responsabilità. La gente sa che sei la prima donna e la prima africana: quando mi sono candidata però non era per essere la prima, ma perché amo questo movimento che mi ha cambiato la vita e penso che sia arrivato il momento di restituire qualcosa. Vorrei plasmare il futuro, in modo che le giovani generazioni possano essere ispirate”.
Con quali obiettivi?
“Molte altre donne nel movimento olimpico mi hanno preceduto e mi hanno aperto le porte: non hanno avuto vita facile, mi hanno raccontato le loro sfide. La nostra responsabilità è rendere il percorso più facile per le donne che arriveranno: Thomas Bach ha fatto grandi passi avanti, resta ancora molto da fare, anche per trasferire questo impegno alle Federazioni internazionali e ai Comitati olimpici nazionali. Non vedo molti cambiamenti nella leadership in questi ambiti e quindi dobbiamo davvero essere molto determinati”.
Lei ha detto che è stata spesso sottostimata.
“Sì sono una underdog e mi piace. Mi piace essere una persona che lavora e si impegna in silenzio. Anche quando ero un’atleta, non andavo a dire “Vincerò una medaglia d’oro”. Ma so essere efficace in silenzio. Penso che sia qualcosa che le donne leader sanno fare”.
Com’è cambiata la sua vita?
“Sembra folle dirlo ma in realtà è diventata più semplice. Mi spiego: prima ero membro Cio e ministro del mio Paese per lo sport e la cultura, poi moglie e mamma. Adesso almeno ho un lavoro solo. Importante, ma uno. Sono anche molto fortunata perché ho il supporto di mio marito, dei miei genitori, della mia squadra. Il nuoto è uno sport individuale, ma quando sono andata negli Usa al college ho imparato subito che il segreto del successo è la squadra. Avere persone che ti aiutano a rafforzare i tuoi punti deboli è l’unica strada. Al Cio ho persone incredibili intorno a me, sono molto selettiva”.
Anche la famiglia dunque fa parte della sua squadra. Ci sono future nuotatrici in famiglia?
“Quando lo chiedono a mio marito risponde sempre: “No. Ho dovuto guardare mia moglie allenarsi per ore e ore e ore per una gara di 30 secondi. Perché farmi questo?”. Ma scherza...”
Oggi visiterà il Villaggio olimpico, che idea si è fatta dell’organizzazione di Milano Cortina?
“Sapete che è la mia prima volta a Milano? Quando nuotavo andavamo sempre a Roma per le gare. Poi sono stata a Venezia e Firenze, mai qui. Oggi andrò per la prima volta a vedere le strutture, finora ho fatto incontri istituzionali, tutti positivi, tra cui una meravigliosa cena con il sindaco e i rappresentanti della Regione”.
Il modello dell’Olimpiade diffusa riserva più fascino o più difficoltà?
“Lo stiamo sperimentando per la prima volta, siamo tutti molto emozionati. Io sono convinta sia un grande valore aggiunto e di certo da questi Giochi impareremo molto, sarà un modello fondamentale per il futuro se pensiamo alle Alpi francesi del 2030 o a Brisbane 2032. Qualche problema in più per alcuni stakeholder è inevitabile, ma so che i Giochi saranno bellissimi. L’Italia riserva paesaggi unici, neve naturale che gli atleti apprezzano. Siamo tutti piuttosto positivi. Ci sono anche alcune cose su cui dobbiamo continuare a fare pressione, ma ne siamo tutti pienamente consapevoli ed è una buona cosa. Questa è una squadra davvero forte”.
Per noi è facile pensare che questi saranno Giochi speciali, lei che cosa ne pensa?
“Sono stata in Italia tante volte e Roma è forse la città che io e mio marito amiamo di più in assoluto. Il vostro Paese è cultura, passione, tutto. Per curiosità sono andata a cercare su Google “Per cosa sono più conosciuti l’Italia e gli italiani?”. L’elenco è lungo: chi verrà si aspetta di trovare accoglienza quasi familiare, cucina, arte, cultura, moda. Ma soprattutto passione. Che si tratti di amore o di un litigio, sappiamo che gli italiani ci mettono passione. E così è anche nello sport. L’Italia ha tutto per mostrarsi alla grande al mondo, è un ottimo compagno di viaggio, un viaggio che abbiamo iniziato insieme, finiremo insieme e sarà bello”.
Il 19 ottobre la Fondazione Milano Cortina sarà alle Nazioni Unite per parlare di tregua olimpica. È un obiettivo realistico?
“Sarebbe incredibilmente importante riuscire a fermare i conflitti. Dobbiamo riconoscere il potere dello sport e il ruolo fondamentale che può avere nel corso della storia. Il motivo per cui il movimento olimpico è sopravvissuto così a lungo è perché ha saputo mostrare il meglio dell’umanità. I Giochi e in particolare il Villaggio Olimpico, che è sempre stato il mio posto preferito, riuniscono atleti diversi da ogni parte del pianeta che lottano e si sacrificano per lo stesso obiettivo. E se guardate al termine di una gara, in fondo alla corsia di una piscina o di una pista di atletica, tutti si abbracciano. È un messaggio molto importante da inviare al mondo: ispirazione, coraggio, sconfitta, riscatto, rispetto. E il rispetto è anche quello per le differenze: quando gareggi nessuno guarda da dove vieni, di quale religione sei o qual è il colore della tua pelle, lì sono semplicemente atleti”.
A proposito di conflitti, la presenza di Israele nel Cio è stata di recente oggetto di molte polemiche, visto che Russia e Bielorussia sono state bandite.
“Prima di tutto va ricordato che il problema con la Russia è stato molto specifico, con il Comitato Olimpico russo che ha violato lo statuto annettendo alcune regioni di un altro Comitato olimpico. Con Israele e Palestina è diverso, i loro Comitati non sono in conflitto, parlano costantemente con noi. Seconda cosa, lo sport è un posto aperto a tutti e generalmente gli atleti non hanno alcun controllo su ciò che i loro governi fanno o dicono. Quando vincevo medaglie olimpiche, il governo dello Zimbabwe non aveva un comportamento molto positivo. Sarebbe stato facile per la comunità internazionale sanzionarci o cacciarci via, e io oggi non sarei qui a parlare con voi e a cercare di fare la mia parte nella storia. Lo sport deve essere un luogo lontano da ogni forma di discriminazione, esiste per abbattere le barriere, non per crearne”.
Una delle missioni del Cio è proteggere gli atleti. A Gaza ne sono morti già migliaia.
“Stiamo dando loro tutto l’aiuto possibile, così come abbiamo fatto con quelli ucraini. Ci sono conflitti in tutto il mondo e ognuno è grave quanto l’altro, perché si perdono vite umane. Dobbiamo trovare un modo per garantire a tutti di partecipare nel miglior modo possibile, senza mettere nessuno in pericolo”.
Preoccupati per le possibili proteste durante i Giochi? La Vuelta, per esempio, è stata interrotta diverse volte.
“Siamo preparati e lavoriamo a stretto contatto con il comitato organizzatore e il governo italiano per garantire che tutti siano al sicuro. È una priorità”.
Una delle storie più importanti di Parigi 2024 è stata il caso delle due pugili Imane Khelif e Lin Yu-ting, escluse dalla Federazione internazionale della boxe, ammesse dal Cio. Parliamo di due atlete non trans, ma con disordini di sviluppo sessuale o iperandrogenismo. Come pensa di gestire casi simili in futuro, tutelando le donne senza creare nuove ghettizzazioni?
“Abbiamo istituito un gruppo di lavoro composto da esperti, di cui per adesso manterremo riservati i nomi, perché voglio che si concentrino sul lavoro. Stanno lavorando a stretto contatto con le Federazioni, con l’obiettivo di raggiungere il consenso, ma credo che su questo tema il Cio deve assumere un ruolo di guida. Naturalmente la situazione è diversa da sport a sport: nell’equitazione uomini e donne già competono contro, ma in altri sport bisogna tutelare le donne. Appena tornerò a Losanna farò il punto con loro”.
Quando avremo le conclusioni?
“Non voglio mettere fretta, perché voglio raggiungano un consenso con tutte le parti in causa, federazioni, atleti… Ma vorrei che le linee guida fossero pubblicate entro la metà del prossimo anno, dopo Milano-Cortina: ci saranno i passi da seguire nei prossimi 8-12 anni”.