Dagli Emirati Arabi a Londra a suon di milioni: Rugby360 appare come una Formula 1 della palla ovale che rischia di travolgere campionati e calendario delle nazionali
Francesco Palma
14 ottobre - 17:07 - MILANO
Anche nel rugby arriva l'idea della Superlega. Il progetto si chiama Rugby360 (ribattezzato più o meno ironicamente dai giornali britannici “Rebel League”) e di fatto prevede la creazione di 8 squadre formate dai più forti del mondo (più 4 femminili, con gli stessi criteri) che giocheranno una serie di tornei in giro per il globo, in una sorta di calendario a tappe (come quello della Formula 1) parallelo alla stagione rugbistica canonica. Banalmente, significherebbe portar via ai club e ai campionati i loro campioni per crearsi una superlega privata, col rischio di escluderli anche dal rugby internazionale: un vero e proprio attacco al già fragile ecosistema rugby attuale. Le squadre dovrebbero seguire il modello delle franchigie e sarebbero collocate nelle grandi città: Londra, Tokyo, Dubai, Città del Capo, Boston e Miami sono tra le papabili. I tornei sarebbero tutti concentrati nei weekend, ognuno in una sede diversa: tra le principali si parla del nuovo Camp Nou (casa del Barcellona di calcio) e il Tottenham Hotspur Stadium, oltre ovviamente agli Emirati Arabi e agli Usa. In totale, le “tappe” dovrebbero essere 12 il primo anno e 16 dal secondo. Il progetto nasce dall’idea di Mike Tindall, vincitore della Coppa del Mondo del 2003 con l’Inghilterra, prevede investimenti provenienti da Regno Unito, Stati Uniti e soprattutto Medio Oriente, e dovrebbe partire dalla fine del 2026. Yann Roubert, Presidente della Ligue Nationale de Rugby e del Top 14 francese, al momento il campionato nazionale più importante e seguito al mondo, lo ha definito “un abominio totale: investitori privati che si appropriano del lavoro costruito da club e federazioni per un progetto distruttivo, con una visione a breve termine. Mettere insieme giocatori che oggi fanno parte di una comunità o regione, solo per farli giocare alla mercé di aziende o miliardari, rappresenta un danno incalcolabile. Questa superlega ucciderebbe i campionati nazionali ma anche competizioni internazionali come la Nations Cup. Infine, trovo difficile capire come si possano pagare tutti questi giocatori per più di 500.000 euro, oltre all’affitto degli stadi, in cui i club di solito non giocano, e i costi logistici”.
cifre mostruose
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I giornali britannici parlano almeno di 10 giocatori della Nazionale inglese contattati da R360, tra cui Henry Slade, George Ford e Jamie George, oltre all’ex All Blacks (e prima ancora stella del Rugby League) Roger Tuivasa-Sheck, alla stella neozelandese Ardie Savea e a 4 giocatori degli Springboks dei quali però non è stato fatto il nome e che sono stati fermati dalla federazione sudafricana. Per ora, quindi, è tutto ancora molto fumoso da questo punto di vista, ma le cifre sono davvero importanti. La media delle offerte per i giocatori contattati va dal mezzo milione di dollari a 1,5 milioni all’anno. Considerando che il giocatore più pagato del momento, lo scozzese Finn Russell, guadagna un milione di sterline all’anno, per molti altri giocatori di medio livello si tratta di cifre mostruose, difficili da rifiutare. Dalle ricostruzioni dei giornali neozelandesi e australiani, un giocatore degli All Blacks (del quale non è stato fatto il nome) avrebbe rifiutato addirittura un triennale da 4 milioni all’anno. Secondo il Guardian il progetto R360, per com’è stato presentato adesso, prevede ricavi per 275 milioni di sterline nel primo anno con l’obiettivo di arrivare a 540 milioni entro il quinto. Ognuna delle otto franchigie verrà venduta a un privato per circa 25 milioni di sterline. R360 ha raccolto oltre 100 milioni di dollari per finanziare il progetto tramite diversi investitori. Il principale, manco a dirlo, viene da Dubai: 885 capital, già legato a progetti come la Professional Fighters League (che organizza tornei di arti marziali miste, con la leggenda della kickboxing Ray Sefo come presidente). Tra gli altri, il gruppo Oakvale (che si occupa già dell’European T20 Premier League di cricket) ha strutturato l’organizzazione finanziaria della lega, mentre Martin Gilbert è molto legato a diversi tornei di golf britannici. Si parlava anche di Red Bull, che invece ha acquistato i Newcastle Falcons in Inghilterra entrando quindi nel mondo del rugby dalla porta principale.
I PERICOLI
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Il problema principale è già nel progetto in sé: R360 garantisce sostenibilità per 3 anni, massimo 5. E poi? Il rischio è che se qualcuno degli investitori si stanca o il giocattolo si rompe tutto il progetto imploda istantaneamente, com’è accaduto già nel tennis: nel 2014 Mahesh Bhupathi diede alla luce l’International Premier Tennis League, l’IPTL: una lega annuale con squadre miste ed eventi itineranti in varie città asiatiche, che doveva comprendere grandi stelle come Roger Federer e Serena Williams, i quali però si tirarono presto indietro una volta capito che il progetto non avrebbe funzionato. Dopo lo stop nel 2016 diverse società che avevano fornito servizi (produzione televisiva, staff, fornitori tecnici) affermano di non aver ricevuto i pagamenti, per un totale di 5 milioni di dollari di debiti. Inoltre, l’ecosistema del rugby è molto delicato e basato principalmente sul rugby internazionale: togliere spazio alle nazionali, al Sei Nazioni, ai test match, significherebbe demolire tutte le fondamenta sulle quali questo sport rimane in equilibrio, seppur precario. Gli stadi si riempiono principalmente al Sei Nazioni, al Mondiale, al Rugby Championship e nei grandi test match. Già con i club è più difficile: succede soprattutto in Francia, dove ormai il rugby si è messo alla pari del calcio, nelle finali del campionato inglese, nei grandi derby irlandesi (Leinster-Munster del 2024 a Croke Park ha fatto registrare 80mila spettatori) ma non è scontato. Se R360 portasse via tutto questo, nessuno sa come l'ecosistema rugby potrebbe reagire.
la guerra con le federazioni
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Già nel calcio la Superlega aveva scatenato reazioni veementi da parte di FIFA, UEFA, Federazioni nazionali e club. E si parla di uno sport dove i club al momento hanno un ruolo preponderante rispetto alle Nazionali, escludendo i grandi eventi come Europei e Mondiali. L’economia del rugby invece si basa principalmente sul rugby internazionale: 3 o 4 “tutto esaurito” nei test match casalinghi possono salvare i bilanci di una federazione. L’Irlanda, nel 2023, fece notare che dovendo giocare il Mondiale e quindi saltando i 3 test match autunnali aveva concluso l’anno col bilancio in netta perdita, proprio a causa dei mancati introiti di quelle partite. Già questo fa capire come una superlega privata e iper-esclusiva (coinvolgerebbe circa 200 giocatori, lasciando le briciole al resto) potrebbe far implodere il sistema rugby. World Rugby (la Federazione mondiale) non ha alcuna intenzione di riconoscere ufficialmente la superlega R360, e lo stesso hanno fatto l’Associazione Internazionale Giocatori e soprattutto le singole nazioni: 8 delle 10 “Tier 1”, le federazioni di primo livello (tra cui l’Italia, oltre a Nuova Zelanda, Australia, Sudafrica, Inghilterra, Francia, Scozia e Irlanda) si sono unite in un durissimo comunicato congiunto che di fatto “vieta” ai propri giocatori di accettare offerte da R360, pena l’esclusione dalla Nazionale: “ll modello R360 è concepito per generare profitti destinati a un’élite molto ristretta, rischiando di svuotare gli investimenti che le federazioni nazionali e i campionati esistenti dedicano al rugby di base, alla formazione dei giocatori e ai percorsi di crescita. Il rugby internazionale e le nostre principali competizioni restano il motore economico e culturale che sostiene ogni livello del gioco. Indebolire questo ecosistema potrebbe arrecare un danno enorme alla salute del nostro sport. Tutte queste questioni avrebbero dovuto essere discusse in modo collaborativo, ma i promotori della competizione non hanno coinvolto né incontrato le federazioni per spiegare e far comprendere meglio il proprio modello di business e di gestione. Ciascuna delle federazioni nazionali, pertanto, informerà i giocatori e le giocatrici che la partecipazione a R360 li renderebbe ineleggibili per la selezione nelle rispettive squadre nazionali” si legge nel comunicato. Non è un caso che le uniche a rimanere fuori dal “patto” siano state Galles e Argentina. I gallesi, che stanno vivendo una crisi sportiva e finanziaria senza precedenti, non hanno il potere contrattuale ed economico per trattenere i giocatori (considerando che lo stipendio medio delle squadre professionistiche gallesi è sulle 8000 sterline al mese, al di là dei campionissimi) mentre per gli argentini cambia poco, considerando che i Pumas giocano già tutti in Europa e in giro per il mondo.