Sarà l'anticipo della campagna elettorale per le elezioni 2027. Per questo il dibattito sulla data del referendum sulla giustizia è tutto politico. Di tecnico ha solo la forma. Il centrodestra vuole accelerare e puntava al primo marzo. Quell'ipotesi è però sfumata, anche in linea con quello che sarebbe il sentire del Colle, si racconta. Le opposizioni mirano a dilatare i tempi. "Per evitare conflitti o ricorsi - ha detto il ministro della Giustizia Carlo Nordio - si può cercare un compromesso.
Ma slittare a dopo Pasqua produrrebbe una tensione politica che sarebbe il caso di evitare. Non vogliamo che venga snaturato questo referendum con un: Meloni sì, Meloni no. Presumo e auspico che sarà prima di Pasqua". Una delle date plausibili è il 22 marzo. Un punto di caduta che non va bene al campo largo. "Basta forzature", ha detto il capogruppo Pd in commissione Giustizia alla Camera, Federico Gianassi. "Per spiegare il contenuto della riforma più tempo abbiamo a disposizione e meglio è - ha spiegato la deputata M5s Vittoria Baldino - Penso che il dibattito e il confronto trarrebbero giovamento da una discussione non scandita dalla fretta, che possa durare quindi più di tre mesi". Le opposizioni sostengono che la maggioranza abbia "paura" del referendum, perché i consensi per la riforma andrebbero calando col trascorrere dei giorni. Archiviata la manovra, la politica guarda al 2026. A marzo-aprile ci sarà il referendum. Sempre in primavera partirà il cantiere del M5s per il programma, da sottoporre poi alle forze del campo progressista. Ma già si discute sulla leadership dello schieramento. Per questo hanno fatto rumore le lunghe interviste rilasciate in questi giorni da un paio di figure papabili: la sindaca di Genova Silvia Salis sul Venerdì e il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi sul Foglio.
"Il Pd non è pronto a battere Meloni", ha detto Manfredi, guadagnandosi la puntualizzazione della segretaria Elly Schlein: "Abbiamo già battuto la destra in Puglia e in Campania. In Campania lo abbiamo fatto con l'importante contributo di Manfredi". Tradotto: la strategia è giusta e l'ho impostata io. Quindi: per la leadership ci sono io. Il tema tornerà a galla. I candidati non mancano. "Ci confronteremo sul programma - ha spiegato il presidente del M5s, Giuseppe Conte - e poi, ma è un fatto successivo, su chi sarà l'interprete". Il dibattito ora è sul referendum. E impatta su un tentativo di riforma del voto degli italiani all'estero. La maggioranza ha approvato un ordine del giorno di Fdi che renderebbe possibile il voto solo nelle sedi diplomatiche e non più anche per corrispondenza.
"L'ennesima forzatura antidemocratica - ha detto il responsabile esteri del Pd, Peppe Provenzano - per provare ad anticipare la data del referendum". Sulle date, il Pd chiede che "non si facciano accelerazioni - ha spiegato Gianassi - E' in corso una raccolta di firme che sta riscuotendo un grande successo, si rispettino regole e la prassi". Il riferimento è alla proposta di un gruppo di 15 cittadini che mira a raggiungere le 500 mila firme (al momento sono a quota 150 mila) necessarie a una richiesta di referendum che andrebbe ad affiancare le due dei parlamentari di centrodestra e di centrosinistra già "approvate" dalla Cassazione. E qua entra in gioco il fattore tecnico: per raccogliere le firme c'è tempo fino al 30 gennaio. Se l'obiettivo verrà raggiunto, solo dopo il 30 gennaio la Cassazione potrà verificarle e quindi solo dopo il 30 gennaio potrebbe partire il timing per la fissazione della data del referendum che, a quel punto, non potrebbe cadere ai primi di marzo. Mentre il governo mira a definire i tempi proprio nel primo mese dell'anno. "Inutile dire che non abbiamo minimamente paura - ha spiegato Nordio - È un problema squisitamente tecnico".
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