Il libro di Andrea Schianchi scova storie nascoste che vanno oltre il rimbalzo del pallone: dal Divino Zamora a Garrincha al Carnevale di Rio
Ci sono libri preziosi che svelano mondi che appartengono alla nostra memoria collettiva. Libri che - come quello di Andrea Schianchi, raffinata penna della Gazzetta - arrivano a darci la conferma che nella storia del calcio non rimbalza solo il pallone, ma la vita stessa. "Calcio Barnum" è un circo - come il famoso spettacolo che il nome evoca - dove è la fantasia a segnare la traccia di uomini virtuosi o miserevoli, campioni e schiappe, artisti di fama o eroi per un giorno. Una tribù che Schianchi raduna tra le pagine e a cui riserva affetto, gratitudine, nostalgia. Ecco allora Garrincha, dribbling e brandelli di poesia sdrucita nella baraonda del carnevale di Rio de Janeiro. Le mani che tremano, il fegato a pezzi, l’alcolismo a consumarlo. Arriva un taxi, destinazione sconosciuta: così Manè, che fu Alegria do Povo, l’allegria del popolo, sfuma nel ricordo, consegnandoci il dovere del rimpianto.
becchino
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Ecco l’improbabile Frank Borghi, il nipote del becchino, portiere degli Stati Uniti che al Mondiale del 1950 sconfigge i nobili inglesi, gli inventori del calcio, sovvertendo un destino già scritto: talmente inaudita quell’impresa da non meritare nemmeno una riga sui giornali. E ancora le monache di clausura colombiane che accompagnano - nelle preghiere che punteggiano una sorta di immaginifico romanzo alla Garcia Marquez - l’impresa dell’Once Caldas, la sconosciuta squadra che nel 2004 vince la Coppa Libertadores. Il centravanti del Cile sotto dittatura che disse “No!”, riabbracciò la madre torturata dagli aguzzini di Pinochet e indicò, nella parabola di un gol, la via cilena al socialismo. Il Mozart del pallone, Mathias Sindelar, vittima della ferocia nazista che finì i suoi giorni nel mistero di una morte silenziosa. La Maravilla Negra, al secolo Josè Leandro Andrade, il favoloso protagonista che nel 1924 vinse con l’Uruguay le Olimpiadi di Parigi, ebbe notorietà planetaria, si fidanzò con la cantante Jospehine Baker e infine - poiché dura un attimo la gloria - morì solo, dimenticato da tutti.
il maracanazo
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Ogni racconto di “Calcio Barnum” porta in dote una verità da consegnare ai posteri, sta a noi decifrarla. Chissà quale è la verità dello sciagurato Moacir Barbosa, che - dopo il Maracanazo, l’epocale sconfitta del Brasile al Mondiale casalingo del 1950 - divenne il capro espiatorio di tutto un Paese, umiliato e offeso, agnello da sacrificare, colpevole per tutti e più di tutti. E chissà quale segreto nasconde la storia del "Divino" Zamora, il portiere spagnolo che negli anni 30 ipnotizzava con lo sguardo magnetico i centravanti avversari e un giorno - quello della sfida contro l’Italia durante il Mondiale del 1934 permeato dall’ombra del fascismo - non si presentò in campo, lasciando la porta e la memoria sguarnita. A rendere solido l’impianto narrativo è soprattutto l’abilità di Schianchi nel calare ogni racconto calcistico in un contesto storico preciso. Il fronte delle Fiandre nel 1915, l’Argentina dei sanguinari generali, l’Ungheria invasa dai carrarmati russi, i campi di concentramento nella seconda guerra mondiale, l’Italia sotto il giogo del fascismo. È così che i luoghi non si offrono soltanto come scenografia, ma contribuiscono a definire l’anima e il destino di chi li frequenta.











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