Bruno, il brasiliano con Perugia nel cuore: "Partita speciale, tutto è iniziato lì"

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Il regista scenderà in campo con il Volei Renata contro la squadra della città dove è cresciuto. In palio ci sarà l'accesso alla finale del Mondiale per club

Alessandro Miglio

20 dicembre - 15:33 - MILANO

Il cuore diviso a metà. Tra il Brasile, dove è nato, e l’Italia, che lo ha adottato. A quattro anni Bruno Rezende ha percorso 9200 chilometri per spostarsi da Rio de Janeiro a Perugia. Lì papà Bernardo allenava la squadra femminile, dove giocava mamma Vera Mossa. Il destino ha voluto che il brasiliano, oro olimpico e mondiale, trovasse nuovamente sulla propria strada Perugia: in passato Bruno è sceso in campo contro la Sir con le maglie di Modena e Civitanova, mentre adesso è pronto a sfidarla nella semifinale del Mondiale per club con il Volei Renata. Stasera alle 22.30 non sono ammessi errori perché la posta in palio è altissima. "In questi ultimi dieci anni i Block Devils sono stati un punto di riferimento non solo a livello italiano, ma mondiale".

Che ricordi ha del suo arrivo in Italia?

"Mi sono trovato subito bene, anche perché stavo insieme alla mia famiglia. Avevo sempre il pallone tra le mani. I primi passi nel minivolley li ho mossi a Perugia, una città veramente speciale. Poi mi sono spostato con mamma a Sumirago, mentre papà lavorava a Modena. Per me è stato molto difficile tornare in Brasile a otto anni. Ormai mi ero ambientato, ma i figli degli sportivi sono sottoposti a grandi cambiamenti".

Dopo oltre tre decenni ritrova Perugia al Mondiale per Club…

"Per noi è un match complicato. Il campionato brasiliano non è sullo stesso livello di quello italiano, quindi dobbiamo tenere alta l’intensità dal primo all’ultimo punto. Gli umbri hanno pochi punti deboli, quasi nessuno. Speriamo di disputare una grande partita".

E rivede Angelo Lorenzetti, con cui ha condiviso due stagioni a Modena.

"Ho la pelle d’oca perché è stato l’allenatore più importante della mia carriera, ancora più di papà. Mi ha dato tanto come atleta e persona. È un uomo sensibile che sa come gestire il gruppo e ispira gli altri a essere migliori".

C’è un episodio che le è rimasto particolarmente impresso?

"Quando abbiamo vinto lo scudetto. I suoi genitori piangevano in tribuna e lui era andato ad abbracciarli. Ci ho pensato subito quando ho saputo che suo padre era scomparso. Gli ho mandato un messaggio, Angelo mi aveva scritto quando era morta mia nonna. Sono momenti molto delicati".

Il Mondiale per club lei l’ha già vinto con una squadra italiana…

"Con Civitanova. Ricordo che avevamo appena conquistato scudetto e Champions League. L’obiettivo era portare a casa l’unico titolo che mancava sia nel palmares della Lube che nel mio. Anche in quell’occasione eravamo in Brasile e nessuno è riuscito a fermarci, neanche una delle squadre più vincenti del torneo (il Sada Cruzeiro in finale, ndr)".

Nonostante i successi ha vissuto dei momenti molto complicati nel corso della sua vita.

"Sì, soprattutto dopo la finale persa ai Giochi di Londra 2012. Bevevo e avevo perso la passione per la pallavolo. Non riuscivo da solo a uscire da quel buio. Per fortuna delle persone mi sono state vicine, tra cui un mental coach. In quel periodo ho imparato una lezione importante: non bisogna avere paura a chiedere aiuto".

A 39 anni pensa mai al ritiro?

"Qualche volta, ma è ancora presto. Sicuramente mi sto preparando per un momento che per un atleta è sempre complicato. Mi sto godendo questo Mondiale per club perché so che non avrò tante altre occasioni per competere a questi livelli".

Diventerà un allenatore come suo padre?

"Non penso perché ho visto con i miei occhi cosa significa. È una vita intensa e stancante. Devi essere sicuro di volerlo fare e io non lo sono. Mi piacerebbe però restare nel mondo della pallavolo".

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