Bocciate dal mondo scientifico le
tecniche finora proposte dalla geoingegneria per tutelare i
ghiacci di Artico e Antartide: non solo non aiuteranno, ma
potrebbero mettere a rischio l'equilibrio delicato di questi
ecosistemi, avvertono 40 ricercatori, autori di un articolo
sulla rivista Frontiers in Science. Tra questi, la glaciologa
italiana Florence Colleoni, dell'Istituto Nazionale di
Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (Ogs).
Sono cinque le tecniche di geoingegneria additate come
rischiose: quando prevedono il rilascio nell'atmosfera di
particelle riflettenti per ridurre gli effetti della radiazione
solare, barriere galleggianti ancorate ai fondali per impedire
alle acque calde profonde di raggiungere le piattaforme di
ghiaccio, l'aumento artificiale dello spessore del ghiaccio
marino, il pompaggio di acqua al di sotto dei ghiacciai per
ridurne la perdita e l'aggiunta di nutrienti negli oceani polari
per stimolare fioriture di microalghe in grado di trasportare la
CO2 in profondità.
"Come comunità scientifica abbiamo voluto analizzare con
più attenzione queste idee e abbiamo concluso che anche se
l'obiettivo e le intenzioni sono condivisibili, si tratta di
progetti costosi e complessi, dall'efficacia controversa",
osserva Colleoni. Il rischio, aggiunge, è "distogliere
attenzione e risorse da strategie già comprovate: quelle che
agiscono direttamente sulla causa del riscaldamento, puntando
sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica",
Secondo gli autori dell'articolo i cinque metodi proposti
dalla geoingegneria costerebbero inoltre decine di miliardi di
dollari e non risolverebbero il problema del cambiamento
climatico che, rilevano, solo la mitigazione dei gas serra può
realmente contrastare. Inoltre ridurrebbero la pressione su
governi e industrie per diminuire le emissioni di gas serra e
introdurrebbero ulteriori problemi ecologici, ambientali,
giuridici e politici.
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