Nel mercato delle criptovalute c'è apertura da parte delle banche italiane. Unicredit e Intesa Sanpaolo fanno i primi passi, anche se in maniera timorosa. E nei prossimi mesi la direzione è quella di un nuovo record di prezzo di Bitcoin, secondo l'ad di CheckSig e direttore scientifico del Digital Gold Institute, Ferdinando Ametrano
Il mercato delle criptovalute in Italia cresce in maniera rapida. Sono 2.5 milioni i clienti registrati con un incremento del 29% anno su anno. Di questi, 1.7 milioni hanno bilanci cripto attivi, con un holding, alla fine di marzo 2025, attorno ai 2.5 miliardi di euro e volumi di trading trimestrale di 1.9 miliardi. Gli istituti bancari scalpitano avendo intuito che quello delle criptovalute è un importante mercato di servizi, ma nonostante si rilevino aperture in tutta Europa, l’Italia resta indietro a causa di ritardi regolamentari, nonostante un mercato maturo. Ferdinando Ametrano, amministratore delegato di CheckSig e direttore scientifico del Digital Gold Institute, fa il punto della situazione.
Quali sono le principali motivazioni che spingono oggi le banche tradizionali a entrare nel mercato delle criptovalute?
C'è un nuovo mercato che ha bisogno di servizi finanziari e vuole essere assistito. La dimostrazione eclatante l'abbiamo ricevuta negli ultimi 12 mesi con il lancio degli Etf in America da parte di BlackRock e Fidelity. L’Etf di BlackRock ha stracciato tutti i record di raccolta e oggi vale più di 50 miliardi, più dell'Etf sull'oro. L'Europa è un po' indietro, ma abbiamo già visto Santander e Bbva offrire l'acquisto e la custodia di Bitcoin e Ether ai propri clienti. Nei prossimi 12-18 mesi vedremo l'apertura di tutto il sistema bancario e finanziario tradizionale europeo, forte appunto della richiesta della clientela, anche italiana.
In Italia abbiamo visto Unicredit e Intesa Sanpaolo entrare in questo mondo
In maniera molto timorosa. Intesa è sostanzialmente pronta: l'acquisto di Bitcoin per un milione di euro a gennaio è stato evidentemente un test della macchina operativa. Gira voce però che il regolatore stia esercitando la sua moral suasion per rallentare l'offerta di servizi. Unicredit è più timorosa: ha appena lanciato un certificato sull'Etf di Blackrock, che da un lato dimostra la necessità di soddisfare una domanda crescente, dall'altro sembra una proposta molto convoluta. Qualsiasi cosa pur di non vendere direttamente Bitcoin ai clienti.
In che modo l’ingresso delle banche nel settore cripto può influenzare la fiducia degli investitori retail e istituzionali?
In modo radicale. Se c'è una cosa che questo ecosistema ha sofferto è la sindrome del Far West. È un ecosistema pieno di ciarlatani e truffatori, anche per colpa esplicita del regolatore. Dal 2014 l'autorità bancaria europea ha invitato il regolatore nazionale a dissuadere le banche dal comprare, vendere e custodire valute virtuali in attesa di un quadro regolamentare che è arrivato solo 10 anni dopo e non è ancora attuato. È chiaro che se gli investitori avessero potuto acquistare cripto tramite le banche di cui si fidano, non sarebbero stati soggetti a truffe. Nessuno come le banche conosce bene i loro clienti, sanno valutare l’adeguatezza di un investimento e possono esercitare un giudizio qualitativo che permetterebbe di discriminare tra Bitcoin, Ether e il criptociarpame vario.
In che direzione sta andando il mercato?
Nei prossimi 12 mesi vedo il mercato andare verso nuovi record di prezzo del Bitcoin, senza dubbio spinti proprio dall'afflusso dei capitali europei. Questi flussi potrebbero non essere giganteschi come quelli visti negli Stati Uniti, ma saranno sicuramente di un ordine di grandezza rilevante per muovere il mercato verso i nuovi massimi.
In che modo la regolamentazione europea sta influenzando lo sviluppo di prodotti finanziari strutturati su asset digitali come Bitcoin?
La regolamentazione europea, tanto quanto il quadro fiscale, chiarisce la legittimità di questo mercato e quali sono le regole. Regole di cui attendiamo l'applicazione anche in Italia. È proprio dell'altro giorno la notizia di una proroga dei termini, che può sembrare una buona notizia per gli operatori di settore, ma non lo è affatto. Si lasciano gli addetti ai lavori ancora senza una licenza, mentre in Olanda, in Francia, in Germania, per non parlare di Malta o di altre giurisdizioni, le licenze sono già state attribuite. E si lasciano i risparmiatori italiani in balìa di operatori non qualificati.
Quali scenari di mercato potrebbero rendere particolarmente interessante o rischioso investire in questo certificati o Etf?
Certificati ed Etf sono modalità subottimali per investire in Bitcoin. Ovviamente c'è spazio per certificati sull'oro, ma non c'è nulla che ne sostituisca il possesso diretto. L'oro digitale Bitcoin oggi è semplice da acquistare ed è semplice pagare le tasse relative se si opera tramite fornitori di servizi affidabili e che facciano il sostituto d'imposta. Da questo punto di vista, chi può ed è capace preferisce l’investimento diretto in Bitcoin e criptovalute. Chi invece non sa ancora discriminare tra gli operatori attivi nel mercato cripto e teme le truffe, per la confusione autorizzativa a cui accennavamo prima, trovare certificati e Etf è una valvola di sfogo.
Quali opportunità e rischi comporta per le banche integrare prodotti cripto nel proprio portafoglio di offerta?
Non vedo rischi a parte quelli reputazionali, ma fatico a capire quali rischi reputazionali possono essere associati all'asset class che ha fatto il record di rendimento in dieci degli ultimi 13 anni. Dal 2011 Bitcoin si è rivalutato di 110.000 volte. Ha una grande volatilità, ma assolutamente comparabile a quella di Tesla, Amazon, Nvidia o Apple, i titoli azionari a cui il risparmiatore è già regolarmente esposto. Il regolatore agita sempre il rischio di volatilità, ma come abbiamo visto negli scorsi mesi la volatilità sul mercato finanziario tradizionale è altrettanto violenta, se non superiore. Per le banche possono esserci opportunità straordinarie. Gli istituti di credito sono alla ricerca di fonti di utili e l'intermediazione è uno dei servizi primari che offrono. Il mercato cerca investimenti alternativi e Bitcoin è l'unico investimento alternativo con una liquidità superiore a quella di Apple. Vedo solo opportunità.
Quali effetti può avere questa evoluzione sul rapporto banca-cliente e sulla competitività del settore bancario in Italia e in Europa?
Il ritardo nell'offrire servizi Bitcoin e criptovalute sta già compromettendo la fiducia del risparmiatore, soprattutto di quello giovane, nei confronti del sistema bancario tradizionale, giudicato eccessivamente conservatore e arretrato. Chi si è sentito escluso dall'asset class più performante in dieci degli ultimi tredici anni è evidentemente piuttosto seccato e arrabbiato con il suo private banker. Inoltre, il sistema bancario più innovativo, quello spagnolo, è già in pole position con Bbva e Santander. Le altre banche europee e continentali dormono sogni beati, ma nei prossimi mesi si sveglieranno tutti. (di Marco Cherubini)