Biancolino: "Facevo il barista, per amore quasi smisi di giocare. Mi chiamano pitone perché..."

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L'unica bandiera in panchina sta ad Avellino, dove allena un uomo che ha centrato 4 promozioni in campo e una in panchina: “Quando venivo da avversario pioveva sempre e mi chiedevo questi come facessero, poi questa maglia mi ha dato qualcosa di speciale. Capii grazie a Novellino che potevo allenare, quando mi hanno chiamato di notte al presidente ho detto solo una cosa...”

Giulio Di Feo

Giornalista

15 novembre - 16:16 - MILANO

Ad Avellino c’è qualcosa di romantico che altrove non vedi. Raffaele Biancolino è l’unico allenatore che è stato anche bandiera in campo della squadra che allena. Di ex scorrendo le liste ne trovate tanti, vero: Chivu ha giocato e vinto con l’Inter, Pisacane ha lottato per il Cagliari, Fabregas ha chiuso la carriera a Como, ma da qui a definirli bandiere ce ne corre. Biancolino è il secondo marcatore della storia biancoverde, ha guidato l’Avellino a quattro promozioni dalla C alla B da attaccante e ha fatto lo stesso l’anno scorso da allenatore. Sarebbero sei salti di categoria, se se ne conta anche uno da tecnico della Primavera. Dietro c’è una storia viscerale, a volte litigarella, scritta con la penna dell’amore.

Partiamo dall’inizio: come nasce Biancolino?

“Napoli, quartiere Capodichino, rione Amicizia. Al centro una chiesa, davanti un campo da calcetto dove praticamente facevo le notti bianche perché chi prima arrivava se lo prendeva. Poi mi prese una scuola calcio a San Giovanni a Teduccio, intanto studiavo e lavoravo: barista, consegnavo le casse d’acqua, volevo guadagnare per non chiedere ‘la settimana’ a mio padre. A scuola calcio provavano a farmi fare il terzino, ma ogni volta che giocavo davanti facevo gol e quindi si rassegnarono: Biancolino è un centravanti. Niente giovanili, a 16 anni ero nel Giugliano in D, dopo un anno mi vide l’Atalanta che mi mandò al Leffe: due montagne, tre case in mezzo, in una c’eravamo io e Ignoffo (ex difensore di Napoli e Palermo, ndr). Esordii tra i professionisti, poi arrivò l’amore...”. 

E cosa fece l’amore? 

“Mi fece smettere. Avevo 17 anni, lei si chiamava Mery, era del mio quartiere e la lontananza si sentiva. A un certo punto dissi: non gioco più, torno a Napoli. Mio padre soffriva, voleva sapere chi era questa ragazza, le telefonò e le fece: ‘Parlaci tu’. Così tornai a giocare, ad Anagni, più vicino a casa. Lì iniziò l’avventura”. 

Biancolino, detto ‘il pitone’. 

“Mio fratello a Napoli aveva un’iguana e un giorno mi chiese di accompagnarlo a prendere il mangime. Il proprietario del negozio mi fece: ‘Hai mai visto come mangia un pitone?’. ‘No’. Gli mise un coniglio nella teca e quello se lo mangiò. Appena lo vidi, dissi: ‘Fermi tutti, lo voglio’. Davanti casa mia si fece la fila: tutti volevano vederlo. Un giorno lo portai in spogliatoio, lo misi nella cesta dei panni sporchi e chiesi al magazziniere se gentilmente mi lavava le maglie. Lui prese la cesta, il serpente sbucò e mi ricordo ancora il salto che fece. Un giornalista della Gazzetta venne a sapere la storia e la scrisse. Da allora sono ‘Il pitone’". 

Le storie d’amore iniziano sempre con qualcosa di strano che si conclude con un bacio. 

“Gioco al Chieti, all’andata faccio gol all’Avellino, al ritorno in Irpinia gli avversari in campo mi bisbigliano: ‘Vai piano, ci servi, dobbiamo vincere il campionato’. ‘Voi, io no’, rispondo. E loro, su tutti Voria che mi marcava: ‘Tu vieni a giocare qua, lo sanno tutti’. Boh, perdiamo, faccio la doccia e uno mi chiama: ‘Casillo, il presidente dell’Avellino, ti vuole parlare’. Entro in una stanza e trovo le due dirigenze al completo col contratto in mano, avevano fatto tutto e solo io non lo sapevo”. 

Biancolino, 479 partite e 179 gol in carriera mai oltre la B. Rimpianti?

 “Sì, non aver dato a mio padre la soddisfazione di vedermi in Serie A. Ci sono andato vicinissimo, a un certo punto era fatta col Cagliari ma all’improvviso spensero il telefono. E io firmai al volo col Messina sul banco del check-in dell’aeroporto di Catania, con la gente dietro che protestava”. 

In compenso però ha trovato una storia d’amore calcistica con pochi eguali. 

“E all’inizio non c’era nemmeno tutto ’sto amore, quando venivo ad Avellino da avversario pioveva sempre e mi dicevo: ‘Ma come fanno?’. Però era una piazza che aveva fatto la Serie A, potevo mettermi in luce. Poi quando ho messo quella maglia ho provato qualcosa di speciale, l’ho sentita subito mia. Lei mi ha dato tanto, io ho dato tanto a lei. Sono orgoglioso di essere napoletano, ma guai a chi tocca Avellino”. 

Biancolino ad Avellino è arrivato, se n’è andato, è tornato, se n’è riandato... 

“Significa che è amore vero. Come con una fidanzata, può capitare che ci litighi o che fai una sciocchezza di una sera, ma sai pure che dall’altra parte c’è la tua vita, un pezzo di cuore. A un certo punto a Messina eravamo terzi, in hotel durante una trasferta a Mantova chiamai il presidente dell’Avellino: ‘Mi fai tornare?’. E lui: ‘Sei pazzo? Ti stai giocando il campionato’. ‘Sì, ma qua non mi trovo’. Non ne ho mai fatto una questione di soldi, ma di amore. Tornai anche due anni dopo ad Avellino: ero capitano del Venezia in B e scesi in C, solo un pazzo l’avrebbe fatto. Dovevo riportare la squadra dove l’avevo lasciata”. 

Cosa comporta allenare una squadra di cui sei stato bandiera? 

“Responsabilità, soprattutto: qui conosco generazioni intere di tifosi, non voglio illuderli né deluderli. Ma sono responsabilità che mi caricano, mi spingono a trasmettere il senso di appartenenza ai ragazzi che alleno. Ricordo ancora come mi sentivo durante una retrocessione quando ero in tribuna infortunato: ‘Se devo andare giù voglio farlo in campo, quella è roba mia’, pensavo”. 

Ad Avellino nel 2018 ha anche sventato un femminicidio, bloccando un uomo che stava colpendo a martellate la sua ex compagna. 

“In quel momento c’è poco da pensare. Sono fatto così, se c’è una persona in difficoltà la difendo”. 

Come nasce Biancolino allenatore? 

”Ero il club manager all’Avellino ma mi facevo vedere poco dalla squadra, pensavo di essere ingombrante. Un giorno mister Novellino davanti al presidente fa: ‘Ma lui perché rimane in tribuna? È un uomo di campo, deve stare con noi’. Avevo il compito di vedere gli avversari per fargli una relazione. Scrivevo pregi, difetti e osservazioni su un foglio e glielo davo. Lui se lo metteva in tasca, e vedevo che lo tirava fuori durante la riunione tecnica e dava le indicazioni mie. Voleva dire che si fidava, lì ho iniziato a pensarmi allenatore”. 

Una notte l’Avellino esonera Pazienza e al suo posto mette lei, allenatore della Primavera. Traghettatore, si diceva.

“Quella notte al presidente chiesi una cosa sola: ‘Non voglio fare la velina, datemi almeno 2-3 partite’. E lui me le diede. Era l’occasione che avevo sempre sognato. Non ero e non sarò mai contento per l’esonero di un collega, ma da mesi vedevo quei ragazzi e prendevo appunti. Lo facevo inconsciamente, per non farmi trovare impreparato, così sapevo dove intervenire”. 

Cos’ha Biancolino allenatore del Biancolino calciatore? 

“Il rapporto coi giocatori. Devi essere chiaro e sincero, lo so perché qualcuno con me non lo è stato, e poi certe crepe si allargano a tutto lo spogliatoio. Ai miei dico sempre: non vi farò mai niente di quello che a me ha fatto male. Preferisco litigare, ma non colpirti alle spalle”. 

I suoi maestri? 

“Da ogni allenatore ho imparato qualcosa: da Zeman l’aggressività, da Sarri la tattica, da Galderisi la gestione del gruppo, da Vavassori le responsabilità da dare in campo... Metto insieme tutto col mio carattere, non mi accontento mai e voglio che i miei non si accontentino”. 

Il rito di Biancolino: prima e dopo ogni partita bacia un braccialetto.

 “La Madonna di Montevergine. Sono devoto, prima dell’esordio in panchina sono salito in pellegrinaggio al Santuario. Le grazie vere che fa la Madonna sono altre, questo è lavoro, ma da allora non smetterò mai di ringraziarla”. 

Con Mery quest’estate avete festeggiato le nozze d’argento.

“Siamo fatti l’uno per l’altra. Abbiamo tre figli, due studiano a New York e il terzo gioca nelle giovanili dell’Avellino. Centravanti”.

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