Il mancino a Rotterdam ha giocato una partita clamorosa con l'ex numero uno: "Serate così ti possono cambiare la carriera"
6 febbraio 2025 (modifica alle 14:29) - MILANO
L’ultima volée di rovescio, marchio di fabbrica del suo idolo John McEnroe, batte due volte nel campo di Daniil Medvedev. Mattia Bellucci sprofonda, per un attimo sembra incredulo, sdriaiato sul centrale di Rotterdam. Poi si rialza e va subito a ricevere i complimenti sinceri dell’ex numero uno al mondo. Poi l’abbraccio fortissimo con Fabio Chiappini, il coach che gli ha cambiato la carriera, portandolo dal numero 800 in classifica fino all'attuale 92 e al best ranking, che raggiungerà lunedì. La prima vittoria contro un top ten dà ragione a chi da tempo sostiene che bastasse avere pazienza. Per Mattia, fisico normalissimo (è alto “solo” 1.75) ma braccio mancino evolutissimo ad accompagnare una vastissima gamma di soluzioni, entrare nell’Olimpo del tennis era molto più di un’eventualità. Il mercoledì sera olandese può essere la sliding door del classe 2001 di Busto Arsizio.
Mattia, come si batte uno dei 29 numeri uno della storia del tennis?
"Accettando lo scambio da fondo senza timore, restando sempre aggressivi e variando sul tema appena possibile. Una palla corta, un serve and volley, un cambio di ritmo. Lui non sta giocando il suo miglior tennis, ma vi assicuro che non è facile batterlo, è sempre attaccato al match".
Quando hai capito che si poteva fare?
"Il primo set mi ha dato una bella iniezione di fiducia, nel secondo percepivo che lui stava salendo e nel terzo non stavo nemmeno bene fisicamente, perché tenere quell'intensità a lungo non è agevole. Sono contento di come ho gestito i momenti di difficoltà. Il break a mio favore sul 4-3 al terzo è arrivato quando meno me l'aspettavo, da lì mi sono proprio liberato e ho chiuso 6-3".
Due ore e 55' di partita, sempre con il sorriso e un linguaggio del corpo eccellente.
"Ero agli ottavi di un 500, con tanta gente a vedermi e contro uno che ha scritto pagine importanti. Mi sono detto semplicemente 'vai, goditela e gioca il tuo tennis', anche perché l'atmosfera era davvero speciale, ti faceva sentire dentro alla lotta".
Cosa c'era in quell'abbraccio liberatorio con Fabio Chiappini?
"Un insieme di emozioni intense. Stamattina non mi rispondeva al telefono e mi sono preoccupato, per fortuna stava solo dormendo. E' un professionista che stimo tanto e a cui voglio molto bene. Negli anni poi abbiamo costruito una comunicazione sul campo che mi aiuta davvero molto. Fabio comprende ogni aspetto del tennis e per certe cose mi conosce meglio del sottoscritto. Dopo i primi due tornei dell'anno, non proprio brillanti, mi ha chiesto uno sforzo speciale sul piano tecnico e mentale, dicendomi tra le altre cose di non pensare alla classifica e al risultato, ma alla prestazione".
A un certo punto si inserisce nel percorso di crescita anche un mental coach, Giuseppe Vercelli.
"Se arrivi tra i primi 150-200 al mondo vuol dire che hai competenze tennistiche elevatissime, poche storie. E allora lì entra in gioco la testa, la capacità di stare sempre dentro alla partita, di gestire e superare l'errore e la frustrazione del momento. Aspetti che incidono più di quanto si possa spiegare a parole".
"Per tirare così forte mi alleno tanto e faccio comunque tanta fatica".
"L'ho detto io?"
Sì, a un bambino al Quanta Club (la struttura all'avanguardia dove Bellucci si allena a Milano con Chiappini e lo staff di Mxp Team) che era bocca aperta di fronte alla potenza del servizio.
"Anche se sono entrato nella Top 100, certi lavori di tecnica pura non devi mai abbandonarli. Quando non gioco i tornei mi alleno anche 8 ore al giorno. Il tennis è la parte dominante della mia vita, ma c'è anche altro. Quando sono in giro mi piace conoscere le città in cui mi trovo, visitare posti e entrare in contatto con culture differenti".
I colleghi che ti piacciono di più e gli idoli del passato?
"Jack Draper e Ben Shelton sono due grandi giocatori, anche se l'americano è uno tosto e in campo può essere anche scorbutico. Mancini e attaccanti come me? In effetti...del resto quando ero bambino e mio papà Fabrizio (maestro di tennis che ha allenato Mattia a lungo) mi faceva vedere le partite del passato impazzivo per Henri Leconte e John McEnroe. Sai lo schema servizio esterno mancino e volèè di rovescio che a volte faccio anche io...".
Che genere di sfizi ti concedi quando stacchi dalla vita da tennista?
"Nulla di particolarmente elaborato, ma ho sempre apprezzato le sneakers, non solo perché mi è sempre piaciuto il basket. Ora grazie al mio manager Marco Colombo che conosce il settore sto anche approfondendo le mie competenze. Coi primi guadagni mi sono comprato un paio di Jordan 1 del 1985, guai a chi me le tocca".
Gazzetta dello Sport
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