
intervista
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L'ex bomber e allenatore della Roma si racconta: "Dissi no al Milan, loro presero Hateley, tre anni dopo eccomi in giallorosso. Volevo parlare italiano come Boniek. L'esperienza in panchina? Si aspettavano il tedesco duro che sistema le cose, io sono uno che prende sottobraccio le persone..."
Pierfrancesco Archetti
4 giugno - 11:34 - MILANO
"S ono nato negli Anni 60, mio papà è stato il mio primo allenatore, era così per tanti, in quell’epoca c’era sempre un genitore, uno zio che ti insegnava. Noi giocavamo solo sulla strada, poi si andava nel piccolo club di paese, il mio era l’Hanau 1860. Mio padre Kurt faceva tutto: lavava il materiale, curava i giovani, gestiva il Kiosk, il piccolo bar del club. Anch’io sono cresciuto lì. Era naturale". Dalla squadretta delle famiglie, Rudi Voeller, 65 anni, è arrivato a vincere un Mondiale, una Champions e a costruire una carriera che non si è fermata al campo, ma prosegue tuttora, da direttore delle nazionali tedesche. La componente italiana, professionale e privata, è marcata. Non solo da ex attaccante della Roma, da marito di Sabrina, romana, o perché tre dei suoi cinque figli sono nati nella nostra capitale. Il legame è continuo, intenso, piacevole.