L'ex centrocampista argentino alla Milano Football Week: "Alla Fifa ci vorrebbe uno che sa di calcio e non solo di politica. Mancini ha sbagliato a lasciare la Nazionale, ma magari ci sarà tempo per tornare"
La terza edizione della Milano Football Week, partita oggi da City Life (la conclusione domenica 15), ha visto tra i protagonisti anche uno dei più grandi centrocampisti di fine anni 90 inizio 2000 come Juan Sebastian Veron. L’argentino, grande amico dell’Italia (ha giocato con le maglie di Sampdoria, Parma, Lazio e Inter vincendo uno scudetto con i biancocelesti e uno con i nerazzurri), al microfono di Mimmo Cugini ha ripercorso gli anni della sua carriera: numerosi i trofei da noi ma anche in Inghilterra e nella sua Argentina, dove ha concluso la carriera all’Estudiantes. “Per i sudamericani il calcio è sempre stato una ragione di vita, una religione. Ora anche da noi purtroppo comanda il business e la passione è sempre meno. Però il calcio è sempre molto popolare, a ogni latitudine. Noi siamo cresciuti per strada e questo dà dei vantaggi quando sei in campo. Io alla Fifa? Ci vorrebbe uno che non sa solo di politica ma anche di calcio: oggi le partite sono troppe, il Mondiale ad esempio così è allargato a troppe squadre”. Veron ha giocato anche nel Boca Juniors, la squadra che è stata pure di Diego Maradona. “Ho giocato con lui, ho vissuto con lui alcuni momenti e per me era un sogno, visto che sono cresciuto guardando le sue partite. Ritrovarmelo di fianco è stato incredibile”.
L’AVVENTURA IN A
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Poi l’arrivo in Italia. “La prima squadra è stata la Sampdoria nel 1996, non parlavo italiano e non sapevo cosa mi aspettava. Quando sono entrato nello spogliatoio sembravo piccolo piccolo al cospetto di grandi giocatori. Li ho imparato come si doveva comportare un giocatore professionista. Dopo che feci un gol al Milan capii cosa voleva dire il calcio in Italia, dove allora c’erano grandi campioni. Mi allenavo con Sinisa Mihajlovic che è stato un grande maestro: il migliore per precisione e potenza sulle punizioni”. I trofei in Italia per Veron arrivano con il trasferimento al Parma. “In quegli anni c’erano le sette sorelle e il Parma ne faceva parte: aveva una grande rosa. C’era anche un bell’ambiente e in quelle condizioni è difficile che non arrivino trofei”. Poi il passaggio alla Lazio, con lo scudetto “rocambolesco” ai danni della Juve fermata a Perugia. “Quella Lazio meritava di vincere il campionato, lo festeggiammo quando loro erano ancora in campo. Eravamo negli spogliatoi e ascoltavamo le notizie da Perugia con la radiolina. Poi abbiamo sentito l’urlo dell’Olimpico e abbiamo capito…”. Più avanti ecco il trasferimento all’Inter: “Mi ha voluto Roberto Mancini perché mi conosceva e sapeva quello che potevo dargli. Da lì è cominciato il ciclo che portò numerosi scudetti e finito con la Champions 2010”. Lo stesso Mancini è stato una sorta di guida per Veron. “Lui ha sempre avuto l’indole dell’allenatore e poi ha dimostrato di saperci fare. Non so perché abbia lasciato la Nazionale. Aveva vinto un Europeo e poi fallito la qualificazione al Mondiale, ma è molto difficile al giorno d’oggi costruire una squadra a livello di Nazionale. A volte non si prendono le decisioni giuste e la sua secondo me non lo è stata. Ma magari ci sarà tempo per ritornarci in azzurro…Sapevano tutti che Roberto sarebbe stato un grande allenatore, la stessa cosa non si può dire ad esempio per Simone Inzaghi di cui non pensavo onestamente che sarebbe diventato così bravo”.
AHI INTER
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Lo stesso Inzaghi che ha lasciato l’Inter dopo la debacle in finale di Champions per abbracciare l’Arabia. “Non bisogna mai sottovalutare i dettagli, il Psg forse all’inizio dell’avventura europea non rubava l’occhio. I riflettori, una volta arrivati alle semifinali, erano puntati più su Inter e Barcellona che non sul Psg. L’Inter secondo me è arrivata stanca a questo appuntamento, con troppa pressione e non ha visto mai la palla. Avesse vinto lo scudetto forse sarebbe andata in maniera diversa”. Immancabile un accenno di Veron alla nostra Nazionale, disastrosa ieri sera in Norvegia. “Da voi c’è un problema di giocatori. Prima c’erano Pirlo, Totti, Del Piero e uno come Morfeo a malapena andava in panchina. Oggi non è più cosi. Se andrete al Mondiale? Non lo so…”