Trail running: chi è il guardiano invisibile che chiude la gara con il "servizio scopa"

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Dalla gestione degli ultimi concorrenti al supporto motivazionale, il racconto di Vincenzo Marasco, alla sua prima esperienza come runner di coda: "Chiudere la gara è molto difficile. E mistico"

Irene Righetti

30 giugno - 12:03 - OTTAVIANO (NAPOLI)

Nelle gare di trail running non esistono solo i primi, i podi, le medaglie. C’è anche chi chiude il gruppo, chi non corre per vincere ma per far sì che tutti possano arrivare. È il servizio scopa, un ruolo poco conosciuto ma fondamentale, svolto da volontari esperti che seguono gli ultimi concorrenti, li assistono, li motivano e, se necessario, li aiutano a fermarsi. Un angelo custode con le scarpe da trail running, lo zainetto carico, e la testa lucida

Per raccontare cosa significhi davvero, abbiamo incontrato Vincenzo Marasco: 49 anni, napoletano, maresciallo della marina militare e ultra trail runner. Lo abbiamo raggiunto dopo la sua esperienza alla Vesuvio Ultra Marathon, 75 chilometri nel cuore del Parco Nazionale del Vesuvio. Tra salite, panorami mozzafiato e una notte passata sui sentieri, Vincenzo ci ha portato dentro un’avventura fatta di fatica, pazienza, senso del dovere, e anche un pizzico di ironia, come il piccolo scopino simbolico che ha portato con sé nello zaino. 

Che cosa fa esattamente l'ultimo runner nelle gare di trail running?

 “Il fine è dare un supporto all’organizzazione e agli ultimi atleti segnalando eventuali difficoltà. Nel caso in cui i runners siano troppo fuori dai tempi dei cancelli orari li esortiamo a fermarsi, questo per la loro sicurezza e quella di chi organizza”. 

A che punto della gara parte? 

“Parto per ultimo, quando tutti i concorrenti si sono allontanati. In occasione della Vesuvio Ultra Marathon siamo partiti in due, in stile passeggiata veloce, e in modo tranquillo abbiamo raggiunto gli atleti che si erano attardati”. 

Che caratteristiche deve avere chi si presta a questo servizio? 

“Ottimo allenamento, conoscenza del territorio e di tutte le persone che sono presenti nei vari check point e ristori, e deve conoscere i numeri da contattare in caso di un soccorso eccezionale. E ovviamente bisogna essere dei trail runner; io corro da soli quattro anni ma ho già fatto gare molto impegnative come la CCC di 100 chilometri (gara UTMB, ndr)”. 

Ma occorre anche essere empatici e un po' mental coach.

 “Non sono un mental coach, ma sicuramente occorre avere tanta pazienza ed essere dei motivatori. La prova è partita alle 7 del mattino, l'ultimo partecipante lo abbiamo portato al traguardo a mezzanotte e 2 minuti. Era un valdostano, nell’ultima salita era in grossissima difficoltà; tendeva a fermarsi frequentemente ma l’area era difficile e così io e l’amico abbiamo dovuto motivarlo ad andare avanti. Una delle frasi che ricordo di avergli detto è stata: 'Dai che se fai la salita poi c’è la birra ad attenderti'. Ha funzionato”. 

Cosa occorre sapere se si decide di prestarsi a questo tipo di attività? 

“Non devi mai abbandonare l’atleta e devi prestargli assistenza finché non sopraggiungono gli aiuti”. 

Come avete gestito i tanti chilometri?

 “Ho percorso tutti i 75 chilometri insieme a Gianluca Parisi, trail runner con esperienza; in altri casi i chilometri vengono suddivisi con più persone. Alla fine siamo rimasti in ballo circa 17 ore: partiti con la luce siamo rientrati con il buio”. 

Occorre portarsi un equipaggiamento particolare? 

“In generale, anche quando faccio le uscite per in montagna porto sempre un kit di pronto soccorso, contenente del ghiaccio secco, garze e medicazioni. Non abbiamo una base di preparazione, ma se qualcuno cade riusciamo a prestargli un primo soccorso. E poi due torce, un power bank potente, dei sali minerali, gel, e caramelle gommose ricche di zucchero che possono aiutare chi è in crisi glicemica”. 

Qual è stato il momento più emozionante di questa 75 chilometri? 

“Quando gli atleti sono arrivati sul cognolo di Santa Anastasia, al trentesimo chilometro, e si sono fermati estasiati ad ammirare il panorama che si è palesato davanti ai loro occhi all’improvviso. Un punto davvero scenografico tanto che lo scorso anno, il primo atleta della gara lunga, si è fermato a scattare delle foto”.

Parliamo dello scopino che spunta dal suo zainetto… 

“È stata una trovata goliardica, ma ti rende subito riconoscibile”. 

È più difficile gareggiare o fare il servizio da ultimo? 

“Gareggiare è tosto perché spingi dall'inizio alla fine, ma fare l'ultimo runner è stato a tratti molto difficile. E anche un po’ mistico”.

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