Sinner, una macchina umana da amare. Non molla mai un punto e ha un totale dominio di sé

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La sua imperturbabilità gli consente di dominare discese e risalite all’interno di un game, di un set o di un match. Può perdere, raramente, e vincere, spesso, senza alzare un sopracciglio

Walter Veltroni

7 giugno - 16:05 - MILANO

A.S. Esiste una storia del tennis italiano ante Sinner e una che comincia con la scalata impressionante del campione altoatesino alla vetta delle classifiche mondiali. Ciò che Jannik ha fatto non riguarda solo lui ma la trasformazione di uno sport considerato, a torto, una disciplina d’élite, in uno dei fenomeni seguiti con più passione dagli italiani. Sia chiaro che l’esplosione del tennis in Italia in questi Anni Venti del nuovo secolo non è solo merito del fenomeno di San Candido. La finale di Wimbledon di Matteo Berrettini nel 2021 fu di straordinaria importanza. Venivamo dal tempo orribile del Covid, dal dolore e dal buio di quei giorni senza rapporti umani e senza gioia e il fatto che, per la prima volta, un italiano calcasse il prato verde della finale inglese catalizzò il desiderio di felicità di un Paese che aveva contato 200mila morti e voleva tornare a convincersi che la vita vera non fosse dietro una mascherina, ma nella normalità che sembrava ormai essere diventata un’utopia. In quegli stessi giorni, Wimbledon e la vittoria all’Europeo di calcio, sempre in Inghilterra, diedero una collettiva scossa di buonumore e consentirono all’intero Paese di abbracciarsi nelle piazze e di non avere più paura dell’incontro con l’altro da sé. Fognini, Musetti, Sonego, Cobolli, Arnaldi, Passaro, Bellucci, Nardi, il doppio di Vavassori e Bolelli hanno completato la trasformazione dell’Italia nella grande potenza del tennis. Tutto in pochi anni. 

il boom degli iscritti

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Due Coppe Davis portate a casa, e lì conta davvero la squadra, e poi l’esplosione del fenomeno Jasmine Paolini con le sue vittorie in singolare e in doppio insieme a Sara Errani, anche sulla terra battuta di casa degli Internazionali, hanno completato l’opera. Stadi sempre pieni, ascolti televisivi che spesso il calcio ormai li sogna, l’emergere del padel e, soprattutto, l’incremento incredibile del numero dei tesserati e dei praticanti. Gli iscritti alla federazione tennis erano 130mila a inizio millennio e ora sono più di un milione. Il tennis è diventato il secondo sport italiano, davvero a poca distanza da un calcio che ha smarrito la sua trama sentimentale e fatica a conquistare i giovani. Per dare una dimensione della portata espansiva del fenomeno Sinner, basti dire che gli iscritti sono passati dagli 820mila di fine 2023 ai 950mila di giugno 2024, fino al 1.027.420 di dicembre. I praticanti vengono stimati in più di sei milioni. La piramide si è allargata alla base e questo è merito della federazione. Lo sport ha bisogno di miti, se non di eroi. Ha bisogno che chi lo guarda si appassioni, abbia la sensazione che nulla è precluso, che chi si trova sul campo da gioco - e sembra che lo faccia a nome tuo - non molli mai e abbia a cuore la sua dignità di sportivo, di persona, di italiano. Le bandiere tricolori non per caso vengono ora portate con orgoglio negli stadi e ciascuno si sente orgoglioso di essere nato qui. Ora quei drappi spuntano a ogni partita, insieme a inopinate magliette arancioni (sembrano tifosi dell’Olanda) indossate da spettatori che si sono travestiti da carota, che hanno indossato assurde parrucche dello stesso colore e che innaffiano di rumore e fantasia la spietata compattezza del numero uno del mondo, Jannik Sinner. Chi ama il tennis ha visto per anni un gioco a tre, ai vertici della disciplina: Nadal, Federer, Djokovic. E prima Agassi, Becker, Lendl, Edberg, Wilander… 

una macchina umana

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 Per ricordare un italiano capace di vincere uno Slam o una Davis bisogna risalire a cinquant’anni fa, quando quel genio simpatico di Adriano Panatta vinceva Internazionali e Roland Garros e poi l’Insalatiera insieme a Barazzutti, Bertolucci, Zugarelli. O, prima ancora, a Nicola Pietrangeli, Sirola, Gardini, Tacchini, Merlo, Maioli, Mulligan, un australiano che, naturalizzato, divenne Martino Mulligani. Il tennis italiano procede a generazioni, con onde di sapienza e talento che infuocano il circuito. Stavolta però siamo in vetta, abbiamo, prima volta, il numero uno. Sinner è una macchina umana. Non solo una macchina, non solo un umano. Ha un dominio di se stesso ineffabile che gli consente di dominare le discese ardite e le risalite all’interno di un game, di un set o di un match con la stessa imperturbabile impenetrabilità. Può perdere, raramente, e vincere, spesso, senza alzare un sopracciglio. Non molla mai un punto o un gioco. Nel corso del tempo, ha affinato un gioco più spettacolare, persino più poetico. Se all’inizio sembrava appartenere a quel tipo di tennista che fa della forza il suo punto di riferimento, con il tempo ha arricchito il suo repertorio di volée, di smorzate, di contropiedi furbacchioni, di lob micidiali. Lo amiamo tutti, davvero tutti. Per una volta senza distinzioni, come invece siamo specialisti a fare noi, eredi degli Orazi e Curiazi. C’era persino chi non amava Rivera o Baggio, Gigi Riva o Paolo Rossi. Sinner ha unito il Paese, perché è il più forte, lo dicono i numeri. Hanno cercato di fermarlo, con una stupidaggine medico-normativa, e lui ha accettato, senza far casino, senza prendersela con nessuno. Quando è tornato, lo ha fatto implacabile, “ricco e spietato come il Conte di Montecristo” avrebbero detto Age e Scarpelli. Fatica, deve ritrovare la mano di prima, ma è arrivato in finale agli Internazionali di Roma e continua a essere il numero uno al mondo. Attorno a Sinner c’è un delirio di tifo, un calore al quale lui, che viene dalla discrezione e dal silenzio delle montagne, ha finito con l’abituarsi. È intelligente e spiritoso, anche se gli manca l’arguzia romanesca di Berrettini, quella mostrata in un irresistibile duetto tra loro guidati da Piero Chiambretti. La battuta, dopo la sconfitta di Roma, sull’assenza del fratello ha mostrato di Sinner quello che più si ama in lui. Una concezione sana dello sport, in cui si combatte per vincere ma si riconoscono le sconfitte non come una tragedia, ma come una tappa della propria carriera e del proprio miglioramento. 

promosso da nadal

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 I coach: Cahill, col suo volto da Monte Rushmore, e Vagnozzi, che sembra un fratello maggiore, gli danno evidentemente sicurezza e lo hanno migliorato, tecnicamente e mentalmente. Ho rivisto di recente su Super Tennis una partita di Nadal e di un giovane Sinner. Era il Roland Garros del 2020. Si giocò a ottobre, mi pare dopo la mezzanotte. Sugli spalti pochi spettatori, tutti con la mascherina. Nel silenzio assurdo del pubblico, si poteva ascoltare la potenza assurda dei colpi dei due tennisti. Vinse Nadal in tre set. Ma faticando. Tanto che, alla fine, il campione spagnolo disse che Jannik era «un giovane talento, con tanta tanta forza e un’ottima velocità. È stata davvero dura nei primi due set e soprattutto alla fine del primo. Colpiva la palla molto forte e con il freddo le palle hanno meno rotazione». In quei giorni il nostro tennista passava dalla 75ª alla 46ª posizione del ranking. Era partito nel 2018 al 1.592° posto. Solo tre anni e mezzo dopo quella partita freddolosa sarebbe diventato, come è ancora dopo un anno, il numero uno del tennis mondiale. L’impressione è che quel ragazzo sarebbe stato il numero uno anche a calcio, sci (discipline nelle quali eccelleva) o perfino a boccette o a scala 40. Jannik Sinner non è solo oggi lo sportivo italiano più famoso al mondo. No, Sinner è in primo luogo un perfetto simpatico. Un meraviglioso ossimoro.

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