"Io non sono e non sarò mai solo il voto che mi hanno dato all'esame. Mi sembra assurdo pensare che una cifra possa descrivere il mio impegno, le mie capacità e le mie conoscenze e possa rappresentare il mio biglietto da visita nel mondo del lavoro" ha detto a Fanpage Pietro Marconcini, studente al Liceo Scientifico Plinio Seniore di Roma, al ministro Giuseppe Valditara dopo aver conseguito il suo esame di Maturità. Promosso con 83 centesimi, nella lettera indirizzata al ministero dell'Istruzione chiede che il suo voto venga ridotto a 60 centesimi. Prima di lui altri maturandi nei giorni scorsi hanno boicottato la prova orale dell'esame, restando in silenzio.
In questi giorni sta facendo molto discutere la scelta di alcuni studenti di non sostenere la prova orale di maturità. Un gesto che ha suscitato reazioni contrastanti: da un lato la condanna di chi lo interpreta come mancanza di responsabilità, dall’altro il sostegno di chi lo legge come una presa di posizione simbolica contro un sistema percepito come rigido e distante.
Ma cosa rivela davvero questo rifiuto? È un semplice atto di ribellione o il sintomo di un malessere più profondo? Cosa ci dice del rapporto tra i giovani, la scuola, la valutazione e la pressione sociale? Valeria Fiorenza Perris, psicoterapeuta e Clinical Director di Unobravo, offre una riflessione sul significato psicologico di questa protesta: tra ansia da prestazione, sfiducia verso i modelli competitivi e bisogno di riconoscimento autentico.
"Il rifiuto dell’orale da parte di alcuni studenti è un messaggio che va ascoltato con attenzione. Non è un rifiuto della scuola o della valutazione in sé - che in un esame ha il suo senso - ma di un sistema percepito come troppo competitivo e poco aderente ai bisogni di espressione autentica degli studenti. Questa generazione sta dicendo con forza che non vuole più misurarsi attraverso la competizione, ma desidera percorsi più collaborativi, anche nel modo di apprendere e di essere valutati. Come psicologi vediamo spesso quanto il voto venga vissuto come un giudizio sul proprio valore personale, con il rischio di minare la fiducia in sé stessi. È fondamentale aiutare i ragazzi a distinguere tra il risultato di una prova e la loro identità, imparando a riconoscere e valorizzare le proprie capacità indipendentemente da un numero. Ognuno di noi ha tantissime sfaccettature, e non sempre è possibile ridurle attraverso categorizzazione stringente. Questo meccanismo rischia di non valorizzare le potenzialità individuali, così come la complessità e l’unicità di ciascuno”.
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