La band di Josh Homme porta al Teatro Lirico Giorgio Gaber l''Alive In The Catacombs Tour', due ore di performance teatrale, che rivisita i brani più ricercati del repertorio
“Look at you now!”. Guardatevi, ripete Josh Homme mentre ciondola sul palco tenendo in mano una lampada nel buio fitto del Teatro Lirico Giorgio Gaber di Milano, dove ieri sera i suoi Queens Of The Stone Age hanno portato in scena l’Alive in the Catacombs Tour, chiesto a gran voce dai fan dopo la pubblicazione dell’Ep omonimo registrato nelle catacombe di Parigi. Impossibile distogliere lo sguardo da questo consumato rocker 52enne, che solo un anno fa ha guardato la morte in faccia e che adesso, quasi a volerla esorcizzare, porta in scena una performance teatrale unica nel suo genere, impossibile da classificare. Due ore intense, suddivise in tre atti, durante i quali Homme sveste i panni stoner rock per indossare quelli da crooner tormentato che affronta senza mezze misure i temi di vita e morte, tormento e redenzione, rinascita e decadenza.
Lo show milanese è la prima data europea dello spettacolo già presentato nelle settimane scorse negli Stati Uniti, e sin dai primi istanti è chiaro a tutti che non sarà uno di quelli furiosi e senza tregua ai quali i fan dei QOTSA sono ormai abituati. Josh Homme e soci tengono sin da subito in pugno un teatro intero, dalla platea alle balconate, con pochi strumenti in mano, poche chitarre, il piano elettrico e la voce ipnotica del loro frontman. Un concerto che non intende essere solo un unplugged o un greatest hits ma una completa rivisitazione dei pezzi più ricercati del loro repertorio, a volte in chiave acustica a volte elettrica, con l’orchestra - una sezione di fiati e archi - a completarli, dando loro una veste completamente nuova.
Lo show parte a sipario chiuso. Il buio avvolge la sala. Poi si riempie di frinire di grilli e suoni della natura. A sorpresa, come un moderno Virgilio, Josh Homme fa il suo ingresso dal fondo della platea per condurre il pubblico in una discesa nel regno dei morti, prima di tornare alla luce. Con sé tiene uno sgabello, che getta sul palco. Un gesto che dà inizio al primo atto dello spettacolo. A sipario chiuso, sono pochi i musicisti presenti, che suonano i pezzi dell’Ep ‘Alive in The Catacombs’, come 'Running Joke', 'Paper Machete’, ‘Suture Up Your Future’, ‘Kalopsia’ e 'I Never Came'. “Ma che cosa stiamo vedendo?” sussurra uno spettatore al vicino. "Sto male" dice ironico qualcuno. Tutti restano incollati sulle poltrone, mentre Josh Homme illumina il pubblico tenendo in mano una lampada da minatore. Le luci sono quasi del tutto assenti, il silenzio è irreale. Homme fa spesso su e giù dal palco, cantando in mezzo ai suoi fan ipnotizzati.
Poi il sipario si alza per il secondo atto e svela un’intera sezione di fiati e archi. La luce rossa avvolge la scena e mentre i musicisti della band entrano sul palco l’atmosfera cambia registro. I suoni si fanno più rabbiosi, il volume più alto. E non potrebbe essere altrimenti, visto che i testi delle canzoni affrontano i temi di morte, rabbia e crudeltà. Josh canta brandendo una mannaia da macellaio, affilatissima, che pianta più volte sul palco. Un gesto che dà l’idea del pericolo, tenendo gli spettatori sul bordo della poltrona. In ‘Someone’s In The Wolf’ inscena una strana danza, in ‘Mosquito Song’, brano tratto dal capolavoro ‘Songs For The Deaf’ del 2002, avverte di rispettare i vermi, perché un giorno finiremo per essere il loro cibo. Non c’è dubbio che sia l’atto musicalmente ed emotivamente più impressionante. C’è solennità ma anche maestosità e poesia in questi arrangiamenti audaci e cupi, ma anche ironici.
Viene in mente una frase dello stesso Josh Homme, che incontrando i fan a Parigi, nell’agosto scorso, ha detto che pensando ai suoi Queens Of The Stone Age vuole restituire l'immagine di una banda decadente e malconcia avvistata all’orizzonte in una strada nel deserto. Le stesse vibrazioni che riesce a comunicare intatte in questo spettacolo. C’è spazio anche per ‘Spinning in Daffodils’ dei Them Crooked Vultures, uno dei side project di Homme. Nell’ultimo atto dello spettacolo la band diventa elettrica, pur continuando ad essere supportata dall’orchestra e i suoni avvicinano ai Queens Of The Stone Age che tutti conoscono. Un piccolo show nello show, nel quale la band fa ascoltare anche l’inedito ‘Easy Street’, per poi passare al gran finale con ‘Like Clockwork…’ cantato con il bassista Michael Shuman tutto vestito di pelle nera, e il bis con ‘Long Slow Goodbye’, che Homme dedica a un amico scomparso, dicendo: “Nessuno se ne va mai per sempre”. Dopo tanta cupezza, una nota di speranza.
Gli spettatori si alzano in piedi e si sentono quasi sollevati. Qualcuno si avvicina al palco per guardare da vicino un gruppo che ha appena portato sul palco uno spettacolo fatto di decadenza e splendore. Alla fine, uscire dal teatro è come emergere da un sogno lucido e inquietante: si è attraversato un labirinto di morte e rinascita, guidati da un artista capace di trasformare ogni nota in un’esperienza viscerale. Lo spettacolo è un esperimento audace ma ben riuscito, a tratti teatrale, a tratti disturbante, che conferma la genialità e la voglia di rischiare del frontman. Un viaggio che non tutti i fan tradizionali potrebbero apprezzare fino in fondo ma che, per chi è disposto a lasciarsi trasportare, resta unico e indimenticabile. (di Federica Mochi)