L'allattamento incoraggia una produzione massiccia di cellule immunitarie e la loro migrazione verso il seno, dove sono destinate a soggiornare per anni, persino decenni. Sarebbe questo, secondo uno studio pubblicato su Nature, il meccanismo alla base dell'effetto protettivo che allattare ha sui tumori al seno: studi passati hanno calcolato che, per ogni anno di allattamento al seno, il rischio di ammalarsi di questa forma di cancro si riduce del 4,3%.
Il reclutamento di linfociti specializzati
I cambiamenti a cui il seno va incontro durante la gravidanza e dopo il parto, prima per prepararsi a secernere latte e poi, dopo lo svezzamento, per tornare a non produrne più, fanno migrare "sul posto" un numero importante di linfociti T citotossici (T CD8+), cellule capaci di infiltrare i tumori e aggredirli, distruggendo le cellule maligne. Anche altri meccanismi di natura immunitaria, innescati dalle proteine del latte materno, dal materiale presente nella bocca dei neonati o dalla protezione del seno dalla mastite (un'infiammazione della ghiandola mammaria) richiamano lo stesso tipo di linfociti.
Per Sherene Loi, oncologa del Peter MacCullum Cancer Centre di Victoria, Australia, nelle donne che hanno allattato al seno queste cellule possono vivere per decenni nel tessuto mammario, dove «agiscono come guardie locali, pronte ad attaccare le cellule anomale che potrebbero trasformarsi in cancro».
Una ricerca in tre parti
Loi e colleghi hanno dapprima confrontato il numero di questo tipo di linfociti nel tessuto mammario di 260 donne sane, con o senza figli, che avevano affrontato un intervento chirurgico o di riduzione del seno o di mastectomia preventiva (per un rischio di tumore al seno da moderato a elevato). Nei tessuti delle donne che avevano avuto figli e allattato al seno è stato osservato un numero maggiore di linfociti T citotossici, che sono persistiti anche per diversi decenni.
In un secondo esperimento, gli scienziati hanno introdotto cellule di una forma aggressiva di cancro al seno nel tessuto mammario di femmine di topo che avevano completato un parto e un ciclo completo di allattamento e svezzamento, o che non avevano mai partorito, o ancora che non avevano potuto allattare perché separate dai cuccioli dopo il parto. Nelle prime, i tumori sono cresciuti meno e sono parsi attaccati da più cellule T citotossiche. Quando questi "guardiani immunitari" sono stati rimossi, i tumori sono cresciuti più rapidamente.
Infine, il team ha analizzato i dati clinici di oltre un migliaio di donne che avevano avuto un tumore al seno triplo negativo (un sottotipo di cancro al seno privo dei tre principali bersagli molecolari per cui esistono trattamenti mirati) e almeno una gravidanza completa.
Nelle donne che avevano riferito di aver allattato, i tumori presentavano una densità più elevata di linfociti T citotossici. A parità di altre variabili, queste pazienti avevano una sopravvivenza più lunga.
Estendere i benefici
Lo studio lascia molte domande aperte, per esempio su quali proteine siano prese di mira da questi linfociti, su come facciano a persistere per anni o quale sia la loro relazione con i tumori che - come quello al seno - sono sensibili agli ormoni. Le risposte saranno importanti per sviluppare trattamenti universali per la prevenzione del tumore al seno, anche nelle donne che, per scelta, per impossibilità o perché non hanno avuto una gravidanza, non hanno allattato al seno. «Vorremmo capire a che cosa reagiscono le cellule T, perché così potremo forse creare strategie che imitino questo stesso effetto» spiega Loi.
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