
intervista
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L’ex difensore e i tanti ricordi in biancoceleste: "Zeman, un martello. Sinisa ed Eriksson mi mancano ogni giorno. Dovevo diventare ct dell'Uganda, sembrava fatta, ma sono spariti"
Francesco Pietrella
7 giugno - 12:09 - MILANO
L a storia di Paolo Negro è una Divina Commedia nel pallone rivisitata: "Nel mezzo del cammin di nostra vita... mi ritrovai in una conceria". Perché prima di "riveder le stelle" – ovvero lo scudetto, la Supercoppa Europe e quei pugni di trofei che ne fanno uno dei calciatori più titolati della storia della Lazio – il terzino biancoceleste è partito dal primo girone dell’Inferno e ha portato uno zaino in spalla fino al Paradiso. "Dai 13 ai 16 anni ho lavorato in una conceria. Attaccavo alle 9, staccavo alle 17 e poi correvo ad allenarmi. Non ho mai smesso di scalare". Paolo, nato e cresciuto a Chiampo, vicino Vicenza, risponde dall’Olgiata, a nord della Capitale. "Ormai sono romano – racconta in dialetto veneto -, ho sposato una romana e i miei figli tifano Lazio". La squadra della vita: 377 partite, 24 gol e sei trofei. Oggi fa l’allenatore.