Marco Maccarini: "Camminare mi ha cambiato la vita"

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Presentatore, autore, speaker radiofonico. Sempre ad alta velocità. Poi ha fatto una scelta: rallentare. E l'ha raccontato nel suo libro, "Un decimo di te": "In questo modo sto vivendo meglio il presente"

Pietro Razzini

26 ottobre - 11:46 - MILANO

A volte basta un passo per cambiare direzione. Per Marco Maccarini, quel passo è stato reale, concreto: lungo un sentiero polveroso, con lo zaino in spalla e il rumore della città ormai lontano. Dopo anni vissuti a ritmo frenetico tra telecamere, palchi e dirette radiofoniche, ha scelto di rallentare. Non per fuggire ma per ascoltare. Per ascoltarsi. Il cammino è diventato la sua nuova bussola: un gesto semplice, quotidiano, capace però di trasformarsi in una potente pratica di benessere fisico e mentale. Camminando ha imparato a lasciare indietro non solo il superfluo materiale, ma anche i “pesi” interiori che spesso ci impediscono di andare davvero avanti. Questa svolta personale è diventata anche un racconto condiviso. Nel libro Un decimo di te Maccarini intreccia consigli pratici, ricordi e riflessioni nate passo dopo passo, lungo vie antiche e paesaggi che hanno ridisegnato la sua idea di tempo: “Ho sentito la necessità di lasciare qualcosa di scritto, di duraturo: non è da me, me ne rendo conto, a causa del mio background professionale. Perché sono sempre stato abituato a lavorare in radio: i miei messaggi erano volatili. Inoltre non sono cresciuto nell’epoca di Internet, dove le parole restano, nel bene e nel male, all’interno del world wide web”.

Perché ha scelto proprio questo titolo?

“Il titolo richiama una regola aurea del camminatore: lo zaino non dovrebbe mai superare un decimo del proprio peso corporeo. Ma, volendo allargare il senso, non si tratta solo di un tema fisico: ogni tanto possiamo lasciare a casa anche i nostri problemi e scoprire come si vive, e si cammina, senza quel carico”.

Perchè iniziare a camminare?
​“Perché camminando si ha molto tempo per sé: è una lunga meditazione in movimento. Dopo qualche giorno il corpo si abitua alla condizione del cammino e, mano a mano che passano i giorni, ci si sente sempre più allenati. E ci si rende conto che quel tempo dedicato al silenzio ha ripulito anche i propri pensieri”.

Meglio soli o in compagnia?

“La maggior parte delle volte cammino in solitaria: in quei momenti riesco a focalizzare l’attenzione su me stesso. La mia quotidianità spesso porta alla condivisione della giornata con tante persone, molto diverse le une dalle altre. Per questo preferisco vivere queste esperienze per lo più da solo”.

Non sempre però è solo.
​“Mi è capitato di essere affiancato in alcune tappe da amici come Corrado Fortuna, Roy Paci, Frankie hi-nrg mc e Maccio Capatonda ed è stato assolutamente piacevole. E poi ci sono state occasioni di condivisione con 'non camminatori' come Fabrizio Biggio e Angelo Pisani: ci siamo rispettati e aiutati a vicenda, capendo le reciproche necessità, alternando ore di spasso assoluto a momenti introspettivi”.

Quando ha capito di aver bisogno di “camminare” in senso più profondo, non solo fisico?

“È successo nel 2005, quando ho affrontato il Cammino di Santiago per la prima volta: allora era lontano dal fenomeno popolare di oggi. Non l’ho condiviso con nessuno: è rimasto un’esperienza solo mia. Dal 2016, poi, ho cominciato a raccontare questi percorsi e, negli anni, ho portato migliaia di persone a camminare”.

Da dove è nata questa scelta?
​“Ero in un periodo felice e appagante dal punto di vista lavorativo: venivo da anni intensi con Trl, dal Festivalbar. Ma non avevo tempo per me. Andavo troppo veloce. Il padre di un amico mi consigliò di rallentare. È stata la prima occasione in cui ho iniziato a leggere i segni che il cammino mi offriva. Perché mi ero dato il tempo per farlo”.

Tornando a quel 2005, cosa ha provato nei primi chilometri?

“Non ero preparato né fisicamente né tecnicamente. Sono partito con uno zaino troppo pesante e i primi chilometri sono stati molto dolorosi. Ma da subito ho incontrato persone che mi hanno dato consigli preziosi. Il dolore fisico è sparito dopo pochi giorni, lasciando spazio alla percezione, al piacere di quello che stavo vivendo”.

Come è stato l’iter in quel viaggio?
“C’è una regola non scritta che ho imparato sulla mia pelle: all’inizio è piacevole ma a fine giornata si sente la fatica. Il secondo giorno ci si fa forza per ripartire. Il terzo mette duramente alla prova. Se si supera quel momento, la situazione non può che migliorare. E dal sesto giorno in poi si potrebbe camminare… per sempre”.

È cambiato il suo approccio nel tempo?

“Negli anni ho imparato ad allenarmi prima di partire. Un'abitudine utilissima per evitare i dolori iniziali. Nei due mesi precedenti a un cammino cerco di muovermi tre o quattro volte a settimana, così posso godermi il viaggio fin dal passo numero uno”.

Camminare da soli può spaventare: come ha imparato a gestire la solitudine?
​“A me, in realtà, piace moltissimo. Se si trova la condizione giusta, la solitudine non spaventa: anzi, diventa un’alleata. Se un pericolo è reale bisogna fare attenzione. Ma spesso le paure sono frutto della nostra immaginazione, non bisogna lasciarsi condizionare. La paura genera altra paura. Il mio consiglio? Se devi fare qualcosa di nuovo, semplicemente fallo. Senza farti bloccare da rischi ipotetici”.

Che benefici fisici ha riscontrato da quando ha cominciato?

“Camminare asciuga la massa grassa anche se non sempre si perde peso: i muscoli si rinforzano e il corpo diventa d’acciaio. Io mi definisco un viandante gaudente, non un pellegrino penitente: mi piace condividere momenti conviviali con altri camminatori. Alcuni percorsi, come la Magna Via Francigena in Sicilia, ti fanno tornare a casa con qualche chilo in più per l’ospitalità delle persone del posto”.

Come gestisce dolori e prevenzione degli infortuni?
​“È un aspetto molto personale. In cammini di devozione, come quello di Santiago, anche i malesseri fanno parte di un percorso di purificazione. Io però cerco sempre di prevenire: uso vasellina per evitare le vesciche, alleggerisco lo zaino per proteggere le ginocchia e curo i piedi ogni sera. Faccio anche un lavoro mentale: cerco di capire se a un dolore fisico possa corrispondere qualcosa di psicologico. Dare un significato al dolore mi aiuta a superarlo”.

Quanto conta l’alimentazione?

“In preparazione non sono molto rigido ma durante il cammino sì. Ci sono stati viaggi, quando ero solo, in cui ho preparato in anticipo il cibo: l’ho essiccato per ridurre il peso e l’ho rigenerato lungo il cammino. In meno di un chilo sono riuscito a portare il necessario per cinque giorni, mantenendo un’alimentazione equilibrata”.

Progetti futuri?
“Mi piacerebbe conoscere di più il centro e il sud Italia: un Calabria Coast to Coast o il Cammino delle Terre Mutate, per esempio. Camminando ci si rende conto della bellezza del nostro Paese: spesso sfugge quando lo attraversiamo in macchina. Tra qualche anno, poi, sogno di affrontare anche alcuni grandi percorsi americani come l’Appalachian Trail o il Pacific Crest Trail”.

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