Nelle giovanili rossonere e della Nazionale faceva il capitano, poi la decisione di trasferirsi nell'università che ha ospitato l'Inter: "Nessun rimpianto, per studiare ho detto no anche al draft della Mls"
Dal nostro inviato Filippo Conticello
19 giugno 2025 (modifica alle 15:58) - LOS ANGELES
Chi è quel ragazzo con i ricci e addosso una maglia degli UCLA Bruins, storica squadra del campus? Quello che accende gli irrigatori del campo un po’ sabbioso quando il collaboratore di Cristian Chivu, Mario Cecchi, dà il segnale. Proprio quel ragazzo lì un tempo giocava con Ibra, sognando di scalare la piramide fino alla cima, eppure 3 giorni fa indossava una toga dopo 4 anni di college completati con successo. Si chiama Pietro Grassi ed è l’italiano con la storia più curiosa di tutta questa grande Università, a maggior ragione nei giorni in cui l’Inter, amica e nemica di una vita, si è trasferita a casa sua. Questo 22enne dal sorriso educato e dalla mente aperta sul mondo è tante cose insieme: un ex capitano delle giovanili del Milan, un ex capitano delle nazionali giovanili azzurre e pure l’ultimo capitano dei gloriosi Bruins di Los Angeles.
fascia al braccio
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Strano, ma vero: nonostante le premesse, Grassi ha appena smesso di giocare per seguire la strada tracciata dalla sua laurea in Comunicazione con specializzazione in Storia dell’arte. E pazienza se è stato a tanto così dal diventare un calciatore pro’ in patria con tutti gli onori del caso. Anzi, se non lo è diventato, è stato per una legittima e nobile decisione tutta sua. Nel 2020, con la Primavera milanista, Pietro si allenava assieme a Zlatan, appena arrivato proprio da LA, e Pioli ne ammirava i movimenti difensivi e l’eleganza nel tocco.

Quando ha capito, però, che non avrebbe mai fatto il salto in prima squadra, Grassi ha preferito saltare altrove, fino all’altra parte dell’Oceano. Niente prestiti, categorie minori e il solito circo che coinvolge i ragazzi nella sua situazione: priorità allo studio. “I miei genitori mi hanno sempre spinto a formarmi bene, oltre il calcio – ricorda Pietro –. Da quando alle medie ho visto per la prima volta un dépliant su UCLA, mi sono messo in testa di arrivare esattamente qua, se non fossi stato capace di giocare a San Siro. Ho iniziato scegliendo un liceo internazionale tutto in inglese a Como e l’ho ripagato con i soldi guadagnati nelle giovanili del Milan”. Da grande, poi, una normale “application” per il campus che ha finito per cambiargli la vita: “È perfino più bello di quello che mi sarei mai immaginato da bambino – continua -. Nelle mail che spedivo per chiedere una borsa di studio, specificavo sempre a grandi lettere che avevo giocato nell’AC Milan: alla fine, mi hanno preso proprio per questo...”. In un quadriennio nel campionato universitario con i Bruins, Grassi ha giocato 62 partite per 90’ e solo due volte è entrato perché reduce da infortunio: l’ultima annata in squadra prima della laurea, l’ha fatta finalmente da ‘senior’, con l’agognata fascia al braccio anche negli Usa.
contro seba
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La storia rossonera di Pietro è altrettanto curiosa perché qui scorre sangue nerazzurro, come quello di tutta la sua famiglia. Da bambino cresciuto a Cantù, vicino al Lago di Como, non è stato mai scelto ai provini dagli scout della sua Inter, finché a nove anni è stato il Diavolo a bussare alla porta di casa: “Mio padre aveva e ha ancora il mito del mago Herrera e, come lui, io tifavo solo nerazzurro poi, quando mi ha preso il Milan, mi sono trovato benissimo fino alla Primavera. Sono stato capitano in diverse categorie, e lo stesso in alcune nazionali giovanili dove c’era gente del livello di Udogie e Pirola. Al Milan ho fatto tutto il percorso con Lorenzo Colombo”.

Altra bizzarria del destino, proprio il compagno di attacco di Colombo all’Empoli si sta allenando a UCLA e per Pietro è un tuffo nei ricordi: “Quanti derby ho vissuto contro Seba Esposito, quante volte ho dovuto marcarlo proprio io: che fatica! Era la stellina dell’Inter, ma il migliore di tutti noi classe 2002 era Amad Traoré dell’Atalanta, che ora sta a Manchester”.
la scelta
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Dopo la maturità nel 2020, anno di pandemia e riflessioni profonde per tutto il genere umano, Pietro si è preso anche lui un anno sabatico per riordinare le idee e, intanto, completare l’ultima stagione di contratto in rossonero. Insomma, ha provato fino in fondo la strada ardita verso la Serie A: gli ultimi tre mesi da aggregato agli allenamenti in prima squadra, senza mai esordire, sono stati gli ultimi fuochi italiani. Accanto a lui, Ibra, che già galoppava verso i 40, gli insegnava senza saperlo a non mollare mai un sogno: per Grassi era semplicemente vivere i viali brulicanti di vita della Università della California. In quella annata post-liceo, continuava, comunque, a studiare da solo per non avere rimpianti e tentare col massimo della preparazione l’approdo, poi riuscito, nel cuore di UCLA.
bigamia
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Alla fine del percorso di calciatore del college soccer, sempre parallelo a quello di studente, avrebbe pure potuto avere un’altra occasione per giocare ad altezza professionistica: “A dicembre era stato selezionato per partecipare al Draft della Mls, il mio allenatore ai Bruins mi ha chiesto se fossi interessato alla cosa e gli ho risposto con un semplice ‘no, grazie’. Così ho smesso di giocare a 22 anni, e la cosa non mi pesa minimamente, anche perché, adesso che sono laureato, non posso più far parte della squadra universitaria”.

Per il momento, si accontenta di collaborare con una start up a tema sportivo con sede in California e di scrivere testi per un’artista: le altre pagine si scriveranno. Nella cerimonia da film, esattamente davanti al campo di soccer “prestato” all’Inter, anche Grassi ha fatto volare il cappello da dottore con i compagni: ha perfino completato il percorso sei mesi prima del previsto. Tornato in pantaloncini e maglia da gioco, ha poi raccontato la sua storia ad Acerbi e ad altri nerazzurri incuriositi, anche se non è facile far passare agli altri la sua strana idea di bigamia del tifo: “Che c’è di male? – scherza -. Io tiferò sempre per le giovanili del Milan, che mi hanno accolto e protetto, ma quando si passa alla prima squadra diventa un interista accanito. Del resto, i social di Grassi sono pieni di foto da piccolo diavolo, però le partite vere lui le vede solo con una sacra maglia nerazzurra collezione 1969-70 donata dal padre. Di recente, poi, gli è servita la gioia di una laurea par superare lo shock di Monaco.