Una partita doppia che ha messo a dura prova il centrodestra. Da un lato, il caos sulla manovra segnato dai puntigli della Lega sulle pensioni. Dall'altro, il prossimo decreto per gli aiuti all'Ucraina, gravato dalla necessità di trovare un compromesso sull'effettivo sostegno a Kiev. Oltre all'incertezza sui tempi, cioè se sarà varato dal governo prima o dopo Natale. Le due date possibili rimangono quelle di lunedì 22 o lunedì 29 dicembre.
Nel frattempo, la manovra ha trovato la sua forma definitiva dopo ore di tira e molla, emendamenti aggiunti, corretti e ritirati. Una pace su cui ha sicuramente pesato l'irritazione della premier per "i giochini" degli alleati. E la preoccupazione dei piani alti del governo per i rischi derivanti da uno scontro aperto nella maggioranza su un tema complesso come la Finanziaria.
Diverso è il discorso sulle armi all'Ucraina. Qui - è il ragionamento - le distanze sono più ammesse e comprensibili, insieme alla consapevolezza che comunque finora sulla politica estera il voto della coalizione è sempre stato alla fine unitario. Sulla legge di bilancio, invece, i rischi per la tenuta del governo sono maggiori. E non hanno aiutato nelle ultime ore gli annunci di decreti extra Manovra su cui far confluire le norme rimaste fuori (come quelle che erano nell'ultima versione del maxi emendamento governativo e che comprendevano impegni sulle Zes, le zone economiche speciali).
Decreti sbandierati dai partiti, a cominciare dalla dalla Lega, e condivisi anche dal leader di Forza Italia, Tajani, meno di un'ora prima di essere convocato a Chigi. In questo quadro, il rischio di successivi rilievi da parte del Quirinale, per il ricorso a uno strumento come il decreto (poco consono, per impegni di spesa e portata, rispetto alla manovra finanziaria) ha fatto il resto. Timori che - si ragiona nella maggioranza - devono aver innescato nel governo, un meccanismo di auto-censura prevenendo un possibile scarso apprezzamento del Quirinale.
Da qui la ricomposizione delle tensioni e la ricerca di soluzioni ad hoc in tempi rapidissimi. Resta agli atti, nella Lega, il ruolo di bastian contrario che il senatore Claudio Borghi rivendica a distanza di ore, specie sul riscatto della laurea a fini pensionistici. "Se qualcuno pensava che il lavoro del senatore di maggioranza fosse quello di dire sempre di sì, mi sa che non ha capito bene", scrive su X, il social che è ormai la sua seconda pelle. Prendendosi poi, sul web, i ringraziamenti di quanti plaudono per non aver mollato.
Sul tavolo resta il nodo degli aiuti all'Ucraina. Il lavoro sul testo del provvedimento continua. Il punto di caduta starebbe in un paio di espressioni, ritenute imprescindibili dalla Lega. Quella che specifica che gli aiuti siano di carattere "civile e umanitario", e un esempio sono i gruppi elettrogeni e i generatori che possono contribuire a salvare vite nelle sale operatorie. L'altro passaggio richiesto dal Carroccio è che le armi inviate siano di tipo difensivo e quindi non a lungo raggio.
Ovviamente nel partito di via Bellerio si rimarca che molto dipenderà anche dai negoziati internazionali in corso, sperando che portino presto alla pace. Parole che nella sostanza non mutano il sostegno "multidisciplinare" confermato da Meloni al Parlamento e messo nero su bianco nella risoluzione di maggioranza approvata mercoledì scorso. Ma che servirebbero alla Lega - si fa notare sempre in alcuni settori della maggioranza - a smarcarsi dalle accuse di essere guerrafondai e potersi poi rivendere la posizione con il proprio elettorato.
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