Crisi dei carburanti paralizza Bamako
 Bamako (Afp)
												Bamako (Afp)
											31 ottobre 2025 | 15.11
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Il Mali è di nuovo sull'orlo del collasso. Alcune zone della capitale Bamako sono ormai paralizzate da settimane a causa dell'assedio economico imposto dal gruppo jihadista Jama'at Nusrat al-Islam wal Muslimin (Jnim), affiliato ad al-Qaeda, che ha bloccato le principali rotte utilizzate dai camion cisterna. L'obiettivo è mettere in ginocchio la giunta militare al potere dal 2021, privando il Paese del carburante, e innescare un effetto domino nell'Africa occidentale.
Secondo quanto riportato da Al Jazeera, il prezzo della benzina è schizzato del 500% - da 25 a oltre 130 dollari al litro - mentre davanti ai pochi distributori ancora operativi si formano lunghe file di veicoli. Il Jnim, attivo nel Mali centrale e settentrionale, ha annunciato il blocco a settembre in risposta alla decisione del governo di vietare la vendita di carburante nelle aree rurali per impedire ai miliziani di rifornirsi. Da allora, i jihadisti hanno bruciato camion di carburante e interrotto i collegamenti con la Costa d'Avorio e il Senegal, da cui dipendono gran parte delle importazioni.
Le conseguenze sono pesanti: scuole e università resteranno chiuse fino al 10 novembre, come ha annunciato il ministro dell'Istruzione, Amadou Sy Savane, mentre la carenza di elettricità compromette anche le operazioni delle forze armate, impegnate nel tentativo di scortare i convogli e proteggere le infrastrutture critiche. Diverse compagnie aeree hanno sospeso i voli da e per Bamako.
La crisi del carburante - una vera e propria "guerra economica" secondo Le Monde - ha eroso ulteriormente la legittimità della giunta militare, già sotto pressione per la recrudescenza degli attacchi jihadisti in tutto il Paese. Oltre al Jnim, nel Mali operano anche cellule legate allo Stato Islamico, rendendo sempre più precario il controllo del territorio da parte dello Stato.
La situazione ha spinto Stati Uniti e Regno Unito a ritirare il personale non essenziale dalle rispettive ambasciate. Washington ha invitato i cittadini americani a "lasciare immediatamente il Mali con voli commerciali", avvertendo che le strade verso i Paesi confinanti "non sono sicure" per il rischio di attacchi terroristici. Londra ha confermato il ritiro temporaneo di parte del proprio staff diplomatico da Bamako. Due giorni fa anche la Farnesina ha sconsigliato di effettuare viaggi in Mali, esortando i connazionali presenti a lasciare quanto prima il Paese.
La tensione nel Sahel si estende oltre i confini del Mali. In Niger, dove si è da poco conclusa la visita dei ministri Antonio Tajani e Matteo Piantedosi, è stato confermato il rapimento di un cittadino americano nella regione di Tillaberi, area instabile al confine con il Mali e teatro di frequenti attacchi di gruppi jihadisti affiliati ad al-Qaeda e all'Isis. Le autorità locali, secondo fonti di sicurezza, ritengono che il sequestro sia opera di miliziani del Jnim, ma non è escluso il coinvolgimento di bande criminali che operano lungo le rotte del traffico di migranti.
L'episodio ha contribuito a innalzare ulteriormente la tensione in una zona già segnata da instabilità e conflitti. Proprio da Niamey, Tajani ha ribadito che "l'Italia conta moltissimo sul ruolo del Niger per garantire stabilità nell'area subsahariana", sottolineando l'impegno di Roma a "lavorare fianco a fianco" con le autorità nigerine nella lotta contro terrorismo e immigrazione irregolare. Piantedosi ha evidenziato come "i transiti di migrazioni illegali si incrociano con la minaccia jihadista", chiedendo di rafforzare la cooperazione di polizia per contrastare i traffici illegali.
La crisi maliana minaccia di contagiare altri Paesi dell'Africa occidentale, non solo il Niger. In Guinea-Bissau, l'esercito ha annunciato di aver sventato un tentativo di colpo di Stato alla vigilia delle elezioni di novembre, segno della fragilità politica diffusa nella regione. Il Jnim, inoltre, ieri sera - con un video su Telegram - ha rivendicato l'uccisione di un soldato nella Nigeria centrale, in quello che è il suo primo attacco noto nel Paese.
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