Il campione olimpico di judo dei Giochi di Sydney 2000: "Il tatami è stato un veicolo e la medaglia uno spot. Dal vocabolario cancellerei la parola sconfitta, non ho avversari ma colleghi pronti a superarmi"
Ogni giorno, da quel giorno, Pino Maddaloni prende se stesso, lo riporta al centro del tatami e dà uno sguardo al mondo che gli gira intorno. "Al judo, con quella medaglia d’oro a Sydney, ho dato voce perché diventasse un modello educativo per i giovani e per il loro futuro, ai quali ho provato a spiegare che cadere si può e rialzarsi si deve". Da Scampia a Sydney e ritorno c’è voluto un tempo infinito - 50 anni a luglio 2026 - e una serenità interiore che aiutasse Pino Maddaloni a maneggiare con cura i pregiudizi per spingersi sin dove nessuno avrebbe mai sospettato. "Come fai a credere di riuscire a vincere le Olimpiadi? Io ci riuscii perché avevo fame ma pure perché con mio padre avevo una promessa: impegnarmi per Scampia". Ogni giorno, da quel giorno, l’oro di Sydney brilla per Scampia.
Il 18 settembre saranno 25 anni da quel trionfo...
"E io spero di festeggiare le mie nozze d’argento in Piazza Ciro Esposito - dedicata al giovane tifoso del Napoli ucciso negli incidenti di Roma prima della finale di Coppa Italia del 2014 con la Fiorentina - organizzando una bella tavola rotonda sul valore dello sport. Ho chiesto le necessarie autorizzazioni e anche un sostegno al Comune".

Scampia, dove tutto nasce.
"Sono orgoglioso di essere stato in grado d’aver lanciato, all’epoca e poi sulla scia di quel successo, un messaggio ai giovani: niente è impossibile. Io vivevo nelle Vele marroni, mi allenavo a Miano, da noi non arrivava la metropolitana, dovevo prendere tre autobus che arrivavano quando volevano. È stato più difficile ma, mi creda, anche meravigliosamente bello. Ho trasformato una medaglia d’oro in uno spot".

Pino Maddaloni non s’è fermato al tatami.
"Ne ho fatto un veicolo. Ho raccontato come ci sono riuscito, con gli sforzi di mio padre a cui la palestra costò un debito gigantesco, 130 milioni dell’epoca. E mia madre è stata l’altra fortuna che ho avuto dalla vita. Ma non dimentico nessuno dei vari tecnici che mi hanno seguito".
Oggi che è dt delle Fiamme Oro ha altre missioni.
"Devo un grazie al mio gruppo sportivo che mi ha sempre sostenuto e mi consente ancora oggi di essere me stesso: seguo i ragazzi dai 7 ai 14 anni e che in qualche modo indirizzo. In Italia abbiamo talenti che vanno emulati, è un processo che va spiegato a chi comincia con lo sport. Chi ce l’ha fatta è d’aiuto. Ma noi i giovani dobbiamo andare a cercarli e avvicinarli alle loro aspirazioni: che sia un campo di calcio, un parquet, una piscina o il tatami".
Ha anche una funzione di ambasciatore...
"Sport e Salute mi ha coinvolto in alcune iniziative e di questo sono fiero. Ho avuto modo di interloquire con il Ministro dello Sport, Abodi, che è una bella persona e che si è impegnato. Certi interventi al Rione Sanità, a Caivano, testimoniano il desiderio di non abbandonare un’idea formativa: si parte da questa per arrivare sul podio".
Com’è ripensare a Sydney?
"È un’esperienza che vivi sistematicamente e che ti spinge a trasmetterla a qualsiasi potenziale erede, finché resterò qua, a Napoli e in Italia, ma non ho alcuna voglia di andarmene. Certe iniziative alimentano la mia natura, andrò a Pizzofalcone in questi giorni, che merita una visita. Ci sono presìdi della legalità, istituiti di recente, in cui le associazioni fanno studiare gli adolescenti anche nel pomeriggio. I leader tecnici di questo Paese vanno sfruttati affinché si possa indirizzare la gioventù ad abbracciare lo sport: quanti testimonial abbiamo?".

Pino Maddaloni da dove partirebbe?
"Non suoni come una banalità ma a scuola cosa ci danno: un paio d’ore di educazione fisica, che non si sa mai bene cosa sia, mentre avendo eccellenze di riferimento, potremmo utilizzarle per spingere gli studenti persino a gestire le proprie emozioni. Lo sport è regole, come la vita. Ma noi nelle aule non entriamo. Bisogna andarci di persona, dal vivo, saper parlare al cuore dei fanciulli. E la politica deve avere la forza di incidere per cambiare".
La vittoria di Maddaloni alle Olimpiadi che cosa significò?
"Senza retorica, ovviamente: che nelle Vele c’era anche brava gente, dedita al sacrificio, al lavoro. Uomini e donne con una loro dignità e pure con una carica umana: io mi sono goduto quegli istanti per tutti quelli che la mattina si alzavano e andavano a faticare; per chi pur nelle difficoltà economiche cercava un domani migliore provandoci e riuscendoci con l’università. Questo mi ha reso ricco".
Le sfide del passato alla soglia dei 50 continuano.
"La prima medaglia fu d’argento, a 19 anni, al Mondiale juniores. Poi arrivò l’oro di Oviedo, europei. Il judo è stata la mia filosofia esistenziale, ti riempie. Potessi fare una cosa, cancellerei dal vocabolario la parola sconfitta o, peggio ancora, fallimento, che viene accostato spesso a chi perde. Ma anche il termine avversario mi dà noia: io contro di me non ho mai un nemico, ma un collega che prova a superarmi. Però forse chiede troppo".

Per il 25° anniversario dell’oro di Sydney si accontenterebbe di....?
"Che dalle elementari sia possibile accedere allo sport, utilizzandolo nella formazione dei nostri figli, educandoli e senza la necessità di creare competizioni. Bisogna investire sui Fenomeni d’Italia. Arricchire il raggio d’azione. Far vibrare il cuore dei ragazzi trascinando da loro gli eroi del passato: guardateli, sono diventati campioni. Ascoltateli".